INCONTRO 4 MARZO 2018: QUARESIMA: UN TEMPO CHE CI VIENE DATO PER VIVERE COSA?

 

PREGHIERA INIZIALE:

Aprimi gli occhi, o Dio che io veda la tua tenerezza per me

Non permettere alla tristezza che ho accumulato

mi derubi il meglio che ho vissuto, per poi disperderlo.

Sono come una cieca, priva di luce, sanami, voglio vederti.

Apri il mio cuore o Dio, sono triste e chiusa in me stessa

donami fede o Dio, quando improvvisa scende la sera.

Lascio che il mio cuore ora per un po' dica basta,

ho bisogno solo del poco di una casa che mi ospiti, che mi riscaldi e conforti.

Resta con me, fammi restare unita a te mio Dio.

Voglio portarti in me come luce che rischiara le mie tenebre

Voglio portarti in me come ancora che salva nella tempesta

Voglio portarti in me come Amore che nell’amore e all’amore mi guida.

Voglio portarti in me come speranza che toglie l’ombra che m’invecchia il cuore.

Benedici ciascuna di noi, perché ri-posando noi stesse di nuovo in Te,

diventiamo spazio ospitale

che consenta ad ognuno di noi

di esporsi con le proprie fragilità

e sentire di poterle deporre in un luogo senza giudizio.

 

Quaresima: questi 40 giorni che ogni anno si ripresentano è un tempo che ci viene dato per vivere cosa?

40 indica una generazione, tutta una vita. il deserto richiama il luogo dove il popolo di Israele dalla libertà dalla schiavitù egiziana prima di entrare nella terra promessa, soggiornò per 40 anni. L’evangelista non ci sta presentando un periodo della vita di Gesù, ma ci sta dicendo che tutta la vita di Gesù è stata un cammino, una traversia nel deserto verso la pienezza della liberazione, che si è espressa nella scelta del dono totale di sè.

Anche a noi viene dato questo tempo: un tempo per vivere il nostro esodo, questo passaggio continuo da qualcosa che ci tiene schiave ad una liberazione. Ma non facendo gli straordinari in quaresima per sentirci più buone attraverso qualche rinuncia e pratica religiosa, una raccolta punti delle messe domenicali e delle preghiere fatte, ma come occasione per approfondire le ragioni della nostra relazione con Dio. Le stesse dinamiche ripetute all’infinito per propiziarci l’attenzione di Dio, ci fanno restare ferme a riva. Se deserto, tentazione, diavolo, ascesi prendono connotazioni moralistiche, andiamo talmente fuori strada da fare della nostra quaresima un tempo del dovere, della tristezza di eseguire qualcosa, per arginare malattie peggiori, per inseguire una nostra immagine di perfezione comportamentale, per propiziarci Dio. Ho fatto elemosina, digiuno, qualche preghiera in più quindi… sono a posto davanti a Dio e agli altri. 

 

Diamo un nome a questo esodo nel deserto che stiamo attraversando, perché non diventi fuga, né vagabondaggio, ma un cammino di libertà, un esodo dalla paura per quello che siamo e che troviamo dentro di noi. Diamo fiducia a quelle prime parole del decalogo che nella parola di oggi dicono: non avrai altro Dio oltre a me (Es 20,3), ovvero, non avere altro Dio se non un Dio di libertà, un Dio che ti strappa alla schiavitù. Chiediti: non se credi alla sua esistenza, ma se in te è un Dio vivo, che libera, o un idolo morto che assoggetta. A chi obbedisci nella vita? Chi suscita le tue passioni? In nome di chi ti metti in cammino? Dimmi con che Dio vai e ti dirò dove ti porta la strada imboccata! (Lidia Maggi)

Proviamo in questo tempo a ri-percorrere la nostra vita per farne un bilancio, per cogliere quante volte abbiamo consegnato il tempo, il cuore, l’affetto, i desideri e i sogni, a qualcuno o qualcosa che non poteva soddisfarli pienamente. E ce ne siamo accorti troppo tardi, al punto da restarci male perché questo qualcuno o qualcosa ci ha distolte dal cercare la felicità nel posto giusto (queste sono le bestie selvatiche).

Proviamo a ri-percorrere e dare un nome anche a quelle esperienze di incontro profondo, quando ci siamo sentite sfiorate da un tocco di vita, di tenerezza e amore, che ci ha permesso di procedere nel nostro quotidiano con una forza e slancio nuovi (angeli).

Viviamo tra queste spinte al male e controspinte al bene. Tra presenze che ci invogliano a vivere da testimoni, nella trasparenza di grazia ricevuta, e gente che con la loro furbizia e cattiveria, tentano di tirarci dentro al male presentato come un bene. Solo dando un nome, abbracciando, addomesticando – senza il bisogno di uccidere – i nostri mostri interiori, le nostre bestie selvatiche, possiamo fare esperienza di cielo.   “Fammi conoscere Signore le tue vie, guidami, istruiscimi…” sono espressioni che ci salgono alle labbra facendo esperienza sia di quanto grande sia la nostra fragilità. Essa a volte ci attanaglia al cuore tanto da desiderare di buttare via questa nostra umanità, altre volte ci porta a tacitare e spegnere tutto, nell’abbandono più totale, per portare agli altri la sua vita.

 

Chiediamo di vivere veramente una conversione, un cambiare mentalità, direzione. La partenza non sia però il sacrificarsi per gli altri, ma andare verso quella liberazione che avviene quando ti liberi dall’ombra triste del sacrificio, perché nessun sacrificio rende la vita più ricca e gioiosa. “Amore e misericordia voglio e non sacrifici”.  Non mi purifico facendo qualcosa per Dio, ma mi trovo purificata facendo con Dio e in Dio qualcosa per gli altri. Qualcosa di gratuito, non perché se lo meritano, non perché devo, ma perché do fiducia a quella parola di Dio che dice: c’è più gioia nel dare che nel ricevere.  Per questo chiedo di mettere l’altro al primo posto, anche davanti al mio sentire, al mio modo di controllare la vita. Che cosa me ne viene, che cosa ci guadagno? Niente, in termini di tornaconto personale. Perdo qualcosa di me, ma la ritrovo proprio nel mio donarmi, quando non mi attendo più qualcosa dall’altro, quando non dò perché ne ho un beneficio, ma è nell’atto stesso del donare sperimento gioia, libertà, bellezza…

Aprirsi all’altro ha un costo, non lascia le cose come prima. Vale per ogni relazione: l’irrompere di ciò che è altro, finisce per farci paura. Abbiamo i nostri equilibri e l’irruzione di un’alterità diventa sempre spiazzante. Ma se vivo questa apertura, questa gratuità ne provo gioia e mi trovo più forte, perché cresciuta nell’amore.

Confido in quella sua Parola che in maniera indelebile mette dentro in ciascuna di noi la certezza che esiste al fondo della nostra vita un bene. Non è più solo un raccapezzarsi e rimanere a galla, non è solo sopravvivere. Perché la fede è qualcosa di più profondo, è una vittoriosa certezza, che tutta la nostra vita è ricapitolata in questo bene. E non è più questione di sola consolazione, è incontrare Gesù che imprime questa certezza dentro di me.

Il vangelo di oggi termina dicendo che Lui che conosce quello che c’è dentro ciascuna di noi. Sa che siamo fragili canne al vento con le nostre superficialità, ombre, cadute, ansie, controlli, sciocchezze, richieste di un ritorno di quello che diamo, ma non ci permette di continuare a mercanteggiare, perché siamo suo tempio, luogo dove Lui può continuare a depositare quella parola che ci permette di lasciare tutto ciò che impedisce alla vita di fiorire.

 

RESOCONTO dell'INCONTRO

  • Io ho 40 anni e me ne accorgo solo ora. Mi resta nel cuore quella parola che dice: c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Quello che io vivo invece oggi a 40 anni, è che finalmente gusto gioia nel ricevere. È una fatica per me ricevere, ma mi sento sostenuta da Qualcuno nel fare questa fatica. Mi sento affidata, per questo ho mollato un pò del mio controllo e questo mi porta gioia. Voglio, desidero abbandonarmi a questa nuova esperienza che sto vivendo e che ho accettato di vivere.
  • Festeggio i miei 40 anni di matrimonio. Tempo prezioso che ora facendo memoria so ripercorrere e vedere come Dio mi ha accompagnato. Per questo mi lascio interrogare nuovamente: che Dio vivo è quello che è in me oggi? Posso rispondere che ora non mi ritrovo un Dio del dovere, ma bensì un Dio vivo! Proprio i momenti di fatica riletti - perché quando si vivono senti solo la fatica - li comprendo come momenti in cui ho sperimentato Dio come ancora di salvezza che mi solleva e mi porta oltre. Evidente in quel momento la sua luce, anche se la scopro solo dopo, quando torno con la memoria, e vedo questo suo accompagnamento. Ora quando un’altra fatica si presenta sono allenata, non esonerata dall’attraversarla, ma so che posso aggrapparmi a questo Dio che cammina in parte a me. Dio si fa vivo nel far memoria. Hai superato quella prova… ora sai che c’è, e lo vedi accanto a te proprio in quello che hai vissuto, sofferto, superato.
  • Ri-percorrere per fare un bilancio. Penso di avere dato molto del mio tempo ad ascoltare cose sbagliate, che hanno creato un nido in me, uccidendo la speranza che è Dio. Ho dato spazio alla morte, e non ho sentito più Dio vivo in me. Ho desiderato la morte. Dio vedendo che io non avevo altro spazio mi ha urlato il suo bene, ha aspettato, mi ha aspettato. E il suo urlo mi è giunto proprio attraverso una voce di una bambina celebrolesa che mi ha aperto gli occhi facendomi distinguere saggiamente le mie azioni dalla mia identità, dal mio essere, dalla mia persona. Mi accorgo che sto ammazzando quel Dio che continua ad amarmi dando voce invece a quelle del disamore. Eppure i suoi angioletti arrivano anche attraverso la voce di una bambina celebrolesa che sa farmi intravedere qualcosa di me, che io non so più vedere, proprio perché mi sono lasciata invadere da voci di dis-amore.
  • Oggi mi risuona questa preghiera: apri il cuore mio… lascio che il mio cuore per un po' dica basta…. Voglio, desidero fare spazio a questa parola, perché presa dal fare, dai bisogni degli altri, dalle responsabilità mi svuoto. Quello che faccio lo faccio proprio con gratuità, ma questo non impedisce di sentire che ci stò male quando non viene riconosciuto. Quindi ci vuole il tempo anche per immergere nuovamente il mio fare con la sua misericordia e amore. Anche se bisogna imparare come dice Sant’Agostino “Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre."

Per questo bisogna sia dare, fare, ma anche aspettare, per trovare pace dentro anche in quello che faccio. I pesi che gli altri ci mettono addosso, dobbiamo saperli calibrare sulle nostre spalle, perché non possono toglierci la pace.  Solo se sei pace puoi portare poi la pace agli altri. E’ la pace che viene nel fare le cose con Dio e in Dio.

  • Amare è promuovere l’altro non imprigionarlo. Amare è accettare la promozione di chi mi vive accanto, è dare lo spazio all’altro perché possa esprimere il meglio di sé.
  • Quaresima per me oggi è un tempo per vivere il mio esodo dalla schiavitù alla liberazione.

Un bisogno di trovare un equilibrio tra il senso del dovere che emerge ogni volta che mi ritrovo schiava del mio ideale di coppia. Lì, cerco l’approvazione e il riconoscimento di mio marito, per quello che creo quando dò ascolto allo slancio del cuore. E’ un riconoscimento che lui non mi sa dare, non si accorge del mio cambiamento e io non ricevendolo mi blocco, mi dico che non serve a niente e mi fermo nel risentimento. Ci sono delle aspettative da parte sua che non sono quelle che danno spazio a quello che mi vive in profondità, e mi disorienta che lui non mi capisca e non senta quanto è importante per me vivere questa dimensione più profonda.

  • Ri-percorrere. Mi sono accorta di quante volte mi sono esposta e in questa esposizione tante cose mi sono tornate indietro come male. Ho bloccato così la mia spontaneità, e ho accettato di vivere all’ombra di quello che gli altri si aspettavano da me, o che io pensavo si aspettassero da me. Infatti, quando non ne ho potuto più di restare in questa ombra, di sentirmi un nulla di fronte a chi sapeva sempre di più di me, ho cominciato a mettermi al primo posto e non annullarmi più restando in secondo piano. Rompendo questo meccanismo sto facendo le mie scelte. È una ribellione sana che mi permette non di vivere all’ombra di chi mi sta accanto, ma di vivere insieme con…Sto tirando fuori il bello di me, divento capace di scelte personali e l’ansia che avevo non mi attanaglia più e le cose si sistemano, trovano il loro posto. È nata una sana distanza che ha permesso uno scambio là dove prima invece era guerra. La diversità non deve diventare motivo per fare diventare l’altro come me, tirarlo dalla mia parte, ma uno spazio per il dialogo e il confronto.

Ci chiediamo quando ci troviamo dentro a questi intoppi: dobbiamo spendere il nostro tempo per convincere l’altro, o dobbiamo custodire e dare vita a quello che ci vive in profondità? E’ questo il modo di porre la domanda? 

Siamo consapevoli che quello che contagia gli altri è la nostra gioia e non la nostra ostinazione a trascinarli dalla nostra parte, per questo dobbiamo smetterla di attendere che cambino. Hanno i loro tempi e su questo non possiamo niente, quello che possiamo è non mollare quello che viene chiesto a noi come chiamata, come conversione, come cambiamento.

  • Esporsi porta sempre una destabilizzazione all’ordine costituito, quindi dobbiamo mettere in conto le conseguenze, e per noi che ci esponiamo il tempo di pazientare, non di mollare. Il papa ha detto che devono finire i tempi di essere credenti inamidati (rivolto a preti e cardinali, ma serve anche a noi) che bevono il te. C’è bisogno di chi si prende la responsabilità di un annuncio anche se in terreni che sono restii a ricevere. Essere scomodi… nessuno di sua volontà lo va a cercare, ma è finito il tempo di mercanteggiare.
  • Importante è rimettere Dio al primo posto e non avere un altro Dio che non sia libertà. La primizia è per il Signore. Questa priorità, questa luce è il criterio che mette ordine in tutto il resto. Per questo non sono chiamata a fare tutto io, ma lasciare quello spazio perché sia Lui ad intervenire. A me spetta la consegna. Un tempo per cercare con rinnovata forza di mettermi al suo seguito e lasciare che sia Lui che opera, anche in quello che vorrei cambiare io ma non posso.
  • Io mi porto dentro in questo tempo la parola: Taci! Gesù sceso a riva ha tacitato un demonio. Oggi ho bisogno di far tacere per aprire gli occhi. Non è un tacere di parole, ma un tacere con la testa. Non a zittire, ma un non dargli tanto importanza. È un far tacere anche quelle immagini che faccio esistere e che non ci sono. Aprimi gli occhi perché sento tanta tenerezza attorno a me, ma ho bisogno che cadano quelle squame dagli occhi, dal cuore per sentirla. Ho bisogno di aprire questi occhi nel profondo di me stessa e incontrandomi con la confusione, non sia preoccupata a mettere ordine, ma di dare vita e creare, generare il nuovo proprio con quello che c’è in me.
  • Ho bisogno di vedere le peculiarità degli altri non come ostacolo, ma come opportunità.

Quando vivono tante cose dentro di noi, chiediamoci qual è la priorità.  Non dobbiamo mettere le mani su tutto e poi lasciare incompiuto quello che abbiamo iniziato. Il tutto ci disperde e ci lascia poi un senso di amarezza e incompiutezza. Chiediamoci qual è l’urlo che più spinge dentro di me? Da quale ferite parte? A chi lo rivolgo? A chi lo affido? Ci sono delle resistenze che incontriamo proprio quando scopriamo qualcosa di noi. Qual è l’angelo che ora si presenta sul mio cammino per fare un pezzo di strada con me per aiutarmi a vivere questo affidamento? Sono queste squame dagli occhi che devono cadere per accorgerci che Dio mai ci fa mancare accanto a noi un angelo, una luce, una parola. A noi sta solo l’umiltà di tendere la mano per riceverla.

INCONTRO 28 GENNAIO 2018: ALL’INZIO DI UN NUOVO ANNO, RI-PARTIAMO DALL’ALTRA PARTE.

All’inizio di un nuovo anno ci auguriamo di lasciare tutto ciò che è ancora ristagno e fissità. Abbandonare quel sicuro non per spavalderia, ma perché chiamate dal futuro. È un poterci dare una nuova possibilità aldilà di ogni fatica e fallimento, non per rincorrere il nuovo per il nuovo, ma per non restare dentro ad una vita scontata. Oggi viviamo in un tempo in cui sembra che la salvezza, la felicità stia nel nuovo. Nuovo oggetto, nuove esperienze, nuove filosofie, nuove sensazioni ecc… Oggi c’è il culto del nuovo. Ma il vero nuovo lo possiamo trovare nello stesso. Il miracolo sta nello trasformare lo stesso in nuovo: rendere lo stesso giorno un nuovo giorno. Lo faremo facendoci aiutare da un miracolo: quello della tempesta sedata che ci chiede di passare all’altra riva, alla riva opposta per avere un altro sguardo su quello che ci succede, sui nostri incontri, sulle nostre tempeste, sulle nostre paure, sulla nostra religiosità, su Dio, sulla nostra fede…

MARCO 4, 35-41 In quello stesso giorno, alla sera, Gesù disse loro: «Passiamo all'altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano delle altre barche con lui. Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva. Egli stava dormendo sul guanciale a poppa. Essi lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che noi moriamo?»  Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia.  Egli disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?»  Ed essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: «Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?»

E’ un ri-partire dall’altra parte, anche se questo ci chiede di attraversare il mare, cioè di accettare quelle trasformazioni che avvengono quando si lasciano le cose certe che sappiamo sulla vita, sulla fede, su Dio. Proprio la paura di fronte ai venti contrari ci interroga sulla nostra fede. Proprio il nostro imbarcare acqua, ci interroga su quella religiosità che ci fa sentire soli e sprofondare, mentre Gesù è con noi che dorme. Forse l’abbiamo addormentato proprio pensando di farcela da sole. Proprio il nostro grido rivolto a Lui ci chiede se lo conosciamo come colui che si annoda con noi per attraversare le nostre tempeste o se ci aspettiamo che agisca con la sua onnipotenza …

Questo miracolo avviene così: c’è una folla che va verso Gesù (aveva appena finito di raccontare la parabola del seminatore) e Gesù li porta verso il mare, verso la libertà (sempre il mare richiama il passaggio del popolo schiavo in Egitto che per arrivare alla libertà deve attraversare il Mar Rosso). Ma ecco il primo inciampo “ma tutta la folla rimase a terra di fronte al mare”. C’era resistenza, la libertà mette paura. Non si fidano e rimangono a terra.

Che cosa fanno fatica ad ascoltare?

Ai tempi di Gesù l’amore di Dio non era universale, l’amore di Dio era per il suo popolo, ma neanche per tutto il popolo, era per i puri, per i meritevoli. L’amore di Dio, secondo la religione, bisognava meritarlo con i propri sforzi. C’era una legge, chi la osservava meritava l’amore di Dio, chi non la osservava o la trasgrediva era fuori dell’amore di Dio.

Ebbene, il segreto dell’amore di Dio, il segreto del regno che Gesù vuol far conoscere è che questa immagini di Dio è falsa! Non c’è un individuo, qualunque sia la sua condotta, qualunque sia il suo comportamento, che possa sentirsi escluso dall’amore di Dio.

Gesù vuole aiutarci a passare dentro a questa tempesta che si scatena sul nostro modo di vedere e vivere Dio, le nostre relazioni tra credenti e non credenti (l’altra riva è quella dei pagani), tra i vicini e lontani, tra… che poi si riversa sul nostro modo di gestire la vita. Passare il mare chiede questa trasformazione, evoca trasformazioni che non abbiamo ancora fatto, per imparare a vivere in un modo differente, per cercare stili di vita che portano trasformazione per tutti. Dobbiamo uscire dal cercare equilibri solo nostri, per salvare il nostro io, il nostro piccolo, la nostra famiglia, il nostro paese…. Gesù non ha bisogno di seguito, ma ha bisogno che ci risvegliamo, e che si risveglino tutti. Un risveglio dove impariamo a dialogare tra noi, mettendoci in rete con le altre barche e insieme passeremo all’altra riva dove ci verrà donato un altro modo di guardare e affrontare la vita.

Quindi lasciamoci provocare dalle domande che emergono dentro di noi, senza cercare subito delle risposte. Provate a rovesciare il punto di domanda… che cosa esce?

amoE’ l’immagine di un amo da pesca. Quindi ascoltiamo le domande come occasioni per scendere dentro di noi, per agganciarci e tirare su all’aria quelle cose che a volte rimangono inespresse. Che cosa cerco? Che cosa sto provando? Che cosa emerge di me? Perché oggi mi dice di passare dall’altra riva? C’è un’altra riva nel mio orizzonte? Ecc…

 

RESOCONTO 28 GENNAIO 2018

LUI CHI È? LO PRESERO COSÌ COM’ERA NELLA LORO BARCA, NELLA LORO VITA.

  • Come nella parabola del seminatore alla prima difficoltà dà fastidio che Lui continui a seminare e qui continui a dormire. Dà fastidio il suo modo di comportarsi.
  • Lo prendono com’era… magari stanco dopo aver incontrato e predicato tutto il giorno a tante persone, e così si mette a dormire. Fin qui, tutto ok, va bene così, ma basta un imprevisto che comincia a disturbarci il suo modo, che ci sembra di indifferenza di fronte a quello che noi stiamo vivendo. Se ti ho preso così dovrebbe andarmi bene e invece…
  • Ecco la poca fiducia che subentra. Lui c’è e dovrebbe bastarci anche se sta dormendo, perché è con noi, e invece noi ecco che ci rivolgiamo a Lui come dovesse risolverci ogni nostra fatica.
  • Non vedi che sono stanca, che non ce la faccio più? Svegliati, dammi una mano. Maestro non t’importa che noi moriamo? Non t’importa la mia fatica, la mia stanchezza? Perché non fai qualcosa per me? Quanta poca fede ho?!?
  • Forse vorrei essere esentata dalle tempeste, dalle lotte, vorrei un cielo sempre sereno, un mare calmo… ma sarebbe troppo facile credere nel miracolo che salva, che mi esonera dal traversare i miei mari.

PERCHÉ DI SERA?

PASSIAMO ALL’ALTRA RIVA---

  • Accogliere una proposta che si presenta e chiede cambiamento, di svoltare: mi chiedo come ho vissuto fino adesso le novità che mi si sono presentate? A volte in maniera positiva perché attendevo questi cambiamenti nella vita. Ma quando si sono presentate come delle grandi batoste come ho reagito? È stato come un entrare nella sera della vita. Finchè c’è un po' di luce procedo, qualcosa ancora mi conduce, ma poi quando arriva alla sera e non vedo più niente.. come posso passare all’altra riva se mi sento, ti senti sola in mezzo alla tempesta?
  • Ma forse proprio quando sei nella sera della vita, nella notte che non vedi più niente puoi sentire e ascoltare quella voce, accogliere quella presenza che dice: passiamo all’altra riva.
  • Non dice passa, ma dice passiamo…
  • Quando siamo nella notte quella voce dice passiamo, e noi proprio perché prese dalla paura che ingigantisce il tutto ci sentiamo sole ed è come che ci avesse detto: devi passare e non passiamo insieme.
  • Questa solitudine, questo sentirci abbandonate mette in moto il vento contrario, e le tempeste incominciano ad invadere la nostra barca, la nostra vita.
  • A volte puoi sentire il bisogno di cambiamento, ma non sai quale sia, qual è il cambiamento che devi fare. Oppure capisci qual è questo cambiamento ma la paura che ti prende non ti fa vedere l’altra riva.
  • Capire e vedere non basta. Conoscere le nostre fragilità e limiti non è sufficiente. A volte riesco anche a dare una mano a chi sta attraversando una tempesta perché dall’esterno la so cogliere proprio perché l’ho passata anch’io, o perché è ancora dentro di me. Ma l’aiuto che so dare agli altri, non è poi così facile chiederlo per me.
  • Forse non vorremmo mai aver bisogno di altri, non vorremmo mai consegnare il nostro grido a qualcun altro, perché vorremmo saperci arrangiare. Ma il grido non va tenuto dentro, va urlato fuori e consegnato a qualcuno. Ormai siamo una società che crede di avere in sè tutte le soluzioni per ogni problema, perché può accedere a qualsiasi informazione. Siamo tutti s-formati (non solo informati) dalle ultime notizie… sappiamo tutto, tanto che non cerchiamo più maestri, amici, compagni di viaggio. Non vogliamo vedere le altre barche che navigano con noi. Non incontriamo più occhi, volti, ma cerchiamo notizie. Così sappiamo dare un nome alle nostre e altrui malattie, limiti, fragilità. Delle nostre paure cerchiamo l’origine, la causa pensando così di dominarle, ma la conoscenza non ci basta. A chi le affidiamo? Passiamo….

ED ECCO LEVARSI LA TEMPESTA

  • Le emozioni, i sentimenti, la rabbia prendono il sopravvento rispetto allo stare con Gesù. Sono queste cose che emergono da dentro che mi incatenano a me stessa e resto in balia di esse, senza essere capace di uscirne, mi dominano. Ok, vorrei lasciarle, ma non ci riesco e resto con questa nostalgia di vivere un abbandono. Ma come vivere l’abbandono? Non so come fare! Canto, leggo un salmo, mi ripeto una frase…o devo fare qualcosa d’altro?
  • Forse le tempeste sono necessarie per dare un nome alle mie fragilità, per accorgermi dei miei limiti. Se non ci fossero non prenderei coscienza di quello che sono, perché sembrerebbe che tutto funzioni lo stesso. La tempesta mi fa dire: ho esagerato! Il passaggio successivo è quello di dire: Ok, ma Lui c’è e mi ama così come sono.
  • Ma non è forse che ci stiamo accomodando troppo quando ci diamo questa attenuante di un Dio che ci ama così come siamo? Lui ci chiede di fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi, ci chiede di … amare gli altri come amiamo noi stesse. Onestamente, se ora giungesse la morte, io chiederei a Dio ancora un po' di tempo perché non ho ancora fatto niente di quello che Lui chiede che io faccia per gli altri.
  • Qui nasce la domanda: avere fede è un dover essere o una consegna continua di quello che sono perché Lui ne faccia una buona notizia per gli altri?

RELIGIOSITA’/PAURA/ FEDE

  • Fede non è misurare quello che noi facciamo per Dio, ma quello che Lui fa per noi. Fede è fidarsi di chi si è già fidato di me. Mi ha dato già un talento e lo ha affidato alle mie fragili mani, cuore ecc.. come un dono d’amore, da farlo fruttificare perché è quel dono consegnato che fiorisce se io non lo sotterro per paura. Devo solo non avere paura di chi me l’ha affidato. Una paura, un timore dettato anche da non sentirmi mai all’altezza della consegna fatta: non ho ancora fatto sufficiente di quello che mi ha detto, non ho ancora fatto sufficiente per Lui… Se lo vivo come uno sforzo da fare senza entrare in una relazione grata con il donatore, prima o poi sotterro me stessa.
  • La fede si manifesta in un bisogno che chiede aiuto ma poi si fida e poi si affida. Non per diventare migliore ma per agganciarsi a Lui. Sarà questo restare agganciati che ci farà migliori.
  • Fede non è trovare una sistemazione religiosa, è lasciare le nostre immagini che abbiamo di Lui. È un lasciarci svegliare mentre pensiamo di essere noi che dobbiamo scuotere dal sonno colui che sta dormendo. Ma Lui che dorme ci indica un altro modo (l’altra riva) di attraversare le nostre paure, le nostre tempeste: non dobbiamo colpevolizzarci perché le proviamo, ma forse non riempiranno la nostra barca se lasciamo che il suo respiro si intrecci e dia il ritmo anche al mio.

PASSIAMO ALL’ALTRA RIVA = AVERE UN’ALTRA VISIONE DALL’ESSERE A POSTO.

  • Non si passa all’altra riva se guardando Lui che dorme nella nostra barca ci dà fastidio, se pretendiamo che Lui faccia quello che noi riteniamo bene per salvarci. La salvezza qui è attraversare con Lui quello che capita, non chiedergli di toglierci dai guai. Non ci salva dalla tempesta ma nella tempesta.
  • Gesù chiede e impone. Chiede …chiede perché siete così paurosi, chiede per farmi prendere coscienza di che cosa stò vivendo. Passiamo all’altra riva, anche insieme ad altre barche per rispondere e far emergere un bisogno di aiuto che non si risolve da soli.
  • Passare all’altra riva è un uscire dal quell’individualismo che la nostra società ci sta rinchiudendo, ma che anche noi ci stiamo arrendendo.
  • L’altra riva è dar vita, generare spazi dove chi viene posa depositare le proprie fragilità senza sentire un giudizio.
  • L’altra riva è avere un altro sguardo su me stessa, senza lasciare che la mia immagine di perfezione mi derubi il meglio che ho vissuto.
  • L’altra riva è non sprofondare in infinite tristezze che ingigantiscono le paure e ci rubano la speranza.
  • L’altra riva è che il desiderio di essere in comunione con gli altri, di vivere una fraternità non si lasci prendere dalla paura di ciò che ogni relazione autentica comporta.
  • L’altra riva è non restare troppo concentrati su noi stessi e su quanto potevamo aspettarci dagli altri, ma restando agganciati a Dio ascoltare la sua fiducia nei nostri riguardi.

INCONTRO 12 NOVEMBRE 2017: ATTENDERE O ATTENZIONE A CIO' CHE STA AVVENENDO?

 

Avvento: un tempo che attende un compimento. Ma qual è il compimento che attendiamo?

Quello della nostra realizzazione, delle nostre aspettative, dei nostri progetti ecc… ci manca sempre qualcosa. Quello che ci manca fa nascere bisogni, orienta tanti nostri desideri che vengono come ipnotizzati dal nuovo, dalla ricerca della novità… lo sai che… hai sentito quello cosa dice? Vai da… lì si che troverai…Il desiderio umano si traduce sempre nel desiderio d’altro: quello che ho non è mai sufficiente, non è mai abbastanza. Ma La quantità di esperienze serve solo a stordirci. L’uomo non è fatto per la quantità ma per la qualità. Non è questione di tante cose ma bensì di profondità. In superficie c’è solo vivacità, quella che noi preferiamo, ma la vita sta sotto.

Non si annega nella profondità, ma nella superficialità (Manicardi).

Così proviamo a chiederci:

COSA VUOL DIRE VIVERE IN MANIERA ATTENTA, VIGILE, PREPARANDO LA STRADA ALLA SUA VENUTA?

O cieli piovete dall’alto, o nubi mandateci il Santo. O terra apriti o terra e germina il Salvatore. (Isaia 45,8)

Questa volta ci facciamo aiutare in questo scendere dentro di noi dalla persona di Giuseppe. Quest’uomo che troviamo accanto a Maria nei nostri presepi forse può svelarci qualcosa che ci aiuti a scavare nel nostro vissuto di oggi e a sgombrare quello che impedisce di accogliere quello che sta avvenendo.

Mt. 1, 18… GIUSEPPE: Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.

ATTUALIZZAZIONE: Io Giuseppe avevo il mio bellissimo progetto, con una donna che amavo. E Dio mi ha soffiato la ragazza. Mi sono trovato nei guai fino al collo e ho dovuto cambiare radicalmente quello che io avevo da tempo sognato. Parlo di sogni perché ne ho avuto altri, ma non più il mio sogno. Ho imparato ad accogliere una vita che non ho cercato, un destino che non ha costruito io. Il mio nome che significa «accresciuto da Dio», Dio accresca, “Dio aggiunge” è diventato il mio programma di vita. Sì Dio mi ha aggiunto quel bambino e io mi sono fatto carico di quel figlio non mio. L’ho preso sulle mie spalle ed è stato lui che mi ha portato a diventare padre, lasciando ogni possesso e accogliendolo come un dono a me affidato.

Giuseppe decide dopo aver ascoltato un sogno di prendere con sé un figlio non suo …. Impara a seguire umilmente la vita, così come si presenta, con i suoi alti e i suoi bassi, facendo piccoli passi verso un amore gratuito, non aspettando che l’altro/a risponda alle sue aspettative, sogni e progetti... E’ l’unico vero modo di essere genitori, di essere padri, che rinunciano a fare del figlio un possesso, che vivono l’avvento del Messia togliendo dal vocabolario la parola “MIO FIGLIO” e sostituendola con “IL FIGLIO CHE MI E’ STATO DONATO”. Questo punto di vista cambia il modo di educare. Perché il figlio stesso non è più il centro dell’attenzione, un idolo da adorare, ma viene ricondotto alla radice dell’amore, al Padre della vita, quell’orizzonte più grande che bussa nel cuore di ciascuno e che il padre terreno apre portando il figlio sulle spalle.

  • Figlio, non è, non sono solo quelli che abbiamo generato fisicamente, ma anche tutto ciò per cui spendiamo la nostra vita, le nostre energie, il nostro amore, la nostra passione… cosa vuol dire fare posto ad un progetto, ad un avvenimento, ad una situazione che richiede la mia presenza ma che non ho programmato io?
  • La saggezza di Giuseppe sta nel capire che l’amore è tale quando sa superare la delusione. Cosa vuol dire decidermi di prendere con me chi amo anche se mi ha in ferita e delusa?

RESOCONTO 12 NOVEMBRE

 

CHE AVVENTO SIAMO CHIAMATE A VIVERE ATTENDENDO IL NATALE?

 

  • Non è una storia dolce quella di Natale. Quello che ci propone è di riconoscerci tutte, tutti incinti e sta a noi decidere se abortire o no. Voglio portare anche quest’anno questa possibilità di nascita? Natale quindi non è una festa ma è decidere se far nascere o abortire.
  • Comunque Gesù nascerà, a noi la scelta se abortirlo nella nostra vita.
  • Non è scontata la risposta. C’è paura di dire Sì perché non si dove porta questa nostra disponibilità. Quindi mi permetto di scappare, deviare, cerco di rimandare la risposta. Sotto c’è una visione di Dio che chiede sacrificio per portare vita.
  • Trovarmi incinta di Dio. Tumulto di fronte a questa possibilità di diventare madre. Avvento diventa un combattimento, perché c’è una scelta personale che coinvolge poi anche chi ci è accanto.
  • Anche Giuseppe aveva questa possibilità di abortire, perché davanti a lui più scelte. Nel sonno queste attese implodono. Quando si è svegliato ha scelto, ha deciso di portare avanti la vita, al di là di come se l’era sognata, pensata, al di là di come era partita.
  • Maria ha detto di sì e non c’è stato più dubbio in lei, se non quello se Giuseppe l’avrebbe accompagnata. Un Sì deciso, certo di portare a termine la richiesta del Padre.
  • Giuseppe sogna nonostante il marasma che prova. Un sogno di Dio incomprensibile. Quando si desta crede che Dio possa comporre qualcosa di impensabile. Il sogno avviene nel silenzio. Il silenzio permette di fare delle scelte di vita, d mettersi in movimento. Solo scegliendo si è messo in cammino, altrimenti se stava fermo nel marasma la paura, i pensieri, il senso di giustizia avrebbe bloccato la partenza. Quindi si alza da questo suo modo di stare di fronte a ciò che non comprende, al disorientamento e si mette in cammino. I problemi nascono quando ci si ferma.
  • Giuseppe per Maria è l’angelo custode. Ha custodito quello che portava in grembo perché l’ha riconosciuto vitale per lei e per lui. Quante cose, situazioni … Dio ha aggiunto nella mia vita come quella di Giuseppe, e non sempre si sono presentate belle, come io me le aspettavo. Però sento che posso essere e sono chiamata a divenire l’angelo custode di chi mi mette accanto. È un tenere sveglio quello che l’altro neanche sa vedere di sé come cosa bella che si porta dentro di Dio.
  • Cosa Dio mi aggiunge? Una possibilità di dare vita, di portare vita, di trovare vita dentro di me.
  • Ha aggiunto qualcosa che mi permette di generare vita o abortire.
  • C’è una scelta personale da fare di fronte alla vita che preme dentro di noi, indipendentemente da chi ci vive accanto e da quello che possono dire o chiederci di fare. La scelta spetta a noi perché la vita è dentro di noi.
  • Quando dò precedenza alla proposta di Dio non mi sento più in colpa se mi prendo del tempo, perché non è solo per me, ma è un dare un posto a Gesù che è diventato il più importante. Questo mettere prima il Signore è possibile quando sei passata attraverso un grande dolore.
  • Siamo sempre gravide di un Gesù che non nascerà mai completamente, perché mai avremo finito di generalo. La nostra vita questa gravidanza continua. Noi siamo corpo di Dio e questo bambino si genererà in noi per tutta la nostra vita.
  • Come immaginarsi questo piccolo di cui siamo gravide? La nascita di Dio in noi … può essere una nascita di un Dio ammalato perché condizionato dalle nostre attese. La vita la puoi desiderare in mille modi, ma la vita di Dio la dobbiamo accogliere così com’è.
  • Il sì detto all’inizio è liberatorio, poi quando si incontrano delle difficoltà tornare a quell’inizio mi permette di fare altri passi.

 

AVVENTO DENTRO LE FERITE

  • le ferite che la vita ci ha inferto non passano, il tempo ci insegna a viverle … non dobbiamo dimenticarle, perché non è possibile. possibile è elaborarle…
  • il dolore viene quantificato a seconda di che cosa è successo, ma il dolore resta dolore. Se il dolore lo abbracciamo si può pian piano attraversarlo, altrimenti diventa disperazione.
  • È come quando si hanno le doglie del parto. Se segui il respiro il dolore non lo trattieni ma lo lasci. Il dolore però resta.
  • Accettare il dolore è una cosa abbracciarlo mi sembra ancor più forte, è andare oltre.
  • Abbracciare il dolore permette il cambiamento, mette in movimento.
  • Accettare ha varie possibilità, non è subire.
  • Siamo chiamate a seguire umilmente la vita. Umiltà che è uno stare in ascolto di come si presenta e trovare i modi per amare e trovare la pazienza di aspettare. È un prendere la croce, facendo i piccoli passi che servono per procedere e non fermarsi.
  • Nel momento in cui lasci te stessa permetti di fare strada all’altro.
  • Qual è il compimento che attendiamo? Lasciare aperta la porta al mistero. Non tutto è comprensibile, fattibile subito, ma voglio credere che se Dio è amore la cosa va a finire bene. È una porta aperta che spazia fuori dal nostro tempo, perché segna per sempre quei momenti di amore, che ti portano già dentro al cuore di Dio che è l’eternità.