INCONTRO DONNE 10 SETTEMBRE 2017: UNA PAROLA CHE CI PORTA ALL’ALTRA SPONDA

 

Nell’incontro di Maria ed Elisabetta abbiamo visto che la fede è saper credere con il cuore che Dio può intervenire anche nell’impossibilità più assoluta. Perché Dio non ha bisogno di intervenire sulle cose che ci risolviamo da sole. L’amore non fa violenza. Dove non c’è fede, affidamento, abbandono Dio rimane impotente. A volte rischiamo di morire di una fede ragionevole. Crediamo solo al ragionevole, al possibile, ma proprio queste due donne ci hanno fatto vedere che niente era ragionevole in quello che stava loro succedendo.
Se vogliamo che Dio intervenga nelle cose che noi comprendiamo allora non è fede, perché fede è aprirsi all’incomprensibile. Dio non interverrà mai nelle cose ragionevoli e possibili, quello lo facciamo già noi, non abbiamo bisogno di Dio.
Queste due donne hanno aperto il loro grembo ad una parola che pian piano hanno visto prendere corpo, carne in loro. Custodendo quello che stava nascendo in loro hanno imparato ad amarlo e amare. All’inizio era solo una parola accolta e custodita. Poi è diventata carne. Nell’incontro reciproco poi è diventato conferma di un impossibile che si stava avverando.
Possiamo guardare a questa vicenda come qualcosa successa a loro perché scelte da Dio per un piano speciale, ma possiamo anche fare un passo di un ulteriore consapevolezza: anche noi oggi abbiamo questa sua parola che giorno dopo giorno ci fa procedere nella vita portandoci fuori dall’ambito delle cose che conosciamo. Anche noi abbiamo questa parola che ci permette di fare un salto di fede, uscire dal comprensibile per aprirci a quella cosa nuova che può avvenire in noi se ci affidiamo a Lui.
Allora entriamo nel nostro cuore e proviamo a ritrovare dentro una parola che nella nostra vita ci ha segnato, ci ha partorito nuovamente portandoci fuori da quello che noi non avremmo mia preso in considerazione. Ci siamo affidate a quella Parola e ci siamo sentite portate oltre, fuori dalle nostre “pare” mentali. Lì abbiamo fatto esperienza di che cosa vuol dire affidarsi per trovarci fuori, portate al largo, all’altra riva.
 
ALCUNI FLASH DELLA NOSTRA CONDIVSIONE:
  • NON TEMERE: è stato un fidarmi proprio quando la ragione mi diceva di percorrere un’altra strada. Ho sentito chiaramente di fronte ad una scelta difficile, di imboccare la strada della fiducia. Questo mi ha permesso di vivere un abbandono che mi ha fatto affrontare la malattia senza lasciarmi prendere dentro il cerchio insidioso della paura. Ho affrontato l’operazione sapendo che sarebbe stato Dio a portarmi fuori. Se non avessi intrapreso la strada della stella ma quella di Erode, avrei fatto una strage prima di tutto nella mia vita, perché non sarei riuscita a mollare il controllo.
  • VI LASCIO LA MIA PACE, VI DO’ LA MIA PACE: la pace che dà il mondo non è pace. SOLO CHI PERDE LA PROPRIA VITA LA TROVERA’. Ma questo trovare non è quello che propone il mondo, perché il mondo ti propone di essere sempre vincente. Per essere vincente devi avere ragione sull’altro. Mentre perdere la vita non chiede di dominare sull’altro, neanche quando hai ragione. E’ un essere perdenti che non è essere umiliati, ma è un lasciare quella ragione che se la ottieni non ti dona però pace. Molli l’orgoglio, che è quello che chiedendoti di dimostrare la tua ragione umilia l’altro. Quindi prego per stare dentro a questa pace che ricevo da Lui, che non è mancanza di conflitti, ma che mi rende attenta a non cadere nella trappola del vincere sull’altro. È una trappola che mette in atto quel meccanismo della ragione che fa mangiare un mucchio di energie al cervello e poi ti lascia scontenta. Ma ha proprio senso che io vinca se poi perdo la pace?
  • QUANDO SONO DEBOLE E’ ALLORA CHE SONO FORTE: quindi anche se non sono al “top” va bene. È Lui che mi sostiene, anche se non è sempre facile vederlo. Questo perché a volte agisce anche l’orgoglio che non mi permette di lasciarmi andare e accettarmi per quello che sono in quel momento. Così quando mi sento un po' giù capisco che è ora di fare un altro passo.
  • CHI AMA SUO PADRE E SUA MADRE PRIMA DI ME NON E’ DEGNO DI ME: ho capito che questo amare Dio prima di… è l’unica condizione per amare gli altri senza tenerli legati a te. Ti libera da ogni laccio… dalle aspettative nei loro riguardi.
  • GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE… me lo ripeto sempre, anche se non è facile quando nella mia vita c’è un uragano. Se tanto ho ricevuto, ho un debito da pagare, ma non forzato, ma grato. Per questo trovo la forza di sorridere anche quando ci presentano i momenti duri. La felicità, la vera pace non si compra ma ti viene donata da Lui sempre gratuitamente. Non è facile far comprendere agli altri, soprattutto a quelli più vicini, che è questo aver ricevuto che ti rende sempre disponibile.
  • PAROLA DI DIO: ma quante nostre parole noi facciamo passare per Parola di Dio. Per anni ci hanno propinato parole invece della Parola e per questo oggi, faccio fatica ad andare in chiesa. E’ vero, la Parola di Dio dice tante cose… ma oggi sento importante andare incontro all’amore: Gesù Cristo. Dentro di me è Lui che desidero e Lui desidera che io gli vada incontro. Questo vivo: desiderare quell’amore, andare a quell’essenza che mi ha generato e creato per amore.
  • DIO MIO PASTORE: bello scoprire che non sono io che cerco Dio, ma che Lui cerca me. È lui il pastore che parte alla mia ricerca. E’ Lui il pastore che cerca questa pecorella… e per questo mi sento amata. Mi cerca perché vuole custodirmi e amarmi. Sono cercata, sono desiderata… sarò anche la 100 pecorella, però Lui mi cerca.
  • RI-PARTIRE= dal Pastore e non dai pastori. Coloro che ci sono stati messi come guide possono essere a volte di scandalo… Ho sempre trovato la forza di ripartire, ma con la Parola, perché questi pastori che dovrebbero farci da guide prima ti chiedono e poi non partono alla tua ricerca, ti lasciano dove sei. Non li riconosco come guide, non li vedo come esempio a cui fare affidamento. Questo lascia in me un grande vuoto…
  • SIA FATTA LA VOLONTA’ DI DIO: Tante le parole che ci provocano, che ci interpellano in chi incontriamo. Parole che ci chiedono dove noi siamo e ci aiutano a fare il punto della situazione. C’è chi è capace di una fede così grande che di fronte ai dolori della vita dice: sia fatta la volontà di Dio. C’è chi invece all’inizio del suo percorso di fede provoca con domande che ci chiedono non spiegazioni, ma saper mostrare con la nostra vita cosa noi troviamo nella nostra fede, che ci permette di vivere una vita che abbia senso.
  • IN TE ABITERO’ PERCHE’ LO DESIDERO: bello sentire questo desiderio continuo di Dio di abitarmi. Per anni mi sono portata dietro questa frase sentendo il bisogno di vedermela scritta davanti. Poi, un giorno basta… quel desiderio di Dio era entrato in me ed è diventato una presenza a cui potevo fare affidamento. Lui il fedele con il suo amore per me. Io potevo desiderarlo, amarlo con l’amore che sapevo vivere in quel momento, ma alla fine quello che mi salvava era la sua fedeltà. Bella, grande, forte, tenace questa sua fedeltà che giorno dopo giorno mi porta ad accettarmi per quella che sono fragile, incostante, ribelle… ma amata.

INCONTRO 30 LUGLIO: NELL’INCONTRO UN PROFUMO, UNA DANZA (Lc. 1, 38-48)

 

E L’ANGELO PARTI’ DA LEI :La realtà della vocazione di Maria termina con queste terribili parole. Entrò in lei e poi partì. Quindi rimase immersa nella quotidianità, profonda solitudine. Rimane con lei il verbo di Dio, che ha preso possesso della sua persona, della sua vita. Ma dentro a questo mistero che l’ha preso possesso in lei, rimane confusa, incredula, perché è così grande che ci vuole tempo per varcare la soglia e farsi abitare da questo mistero. Anche Maria è cresciuta nella fede giorno dopo giorno.

 

IN QUEI GIORNI MARIA SI MISE IN VIAGGIO: Maria va da Elisabetta non per aiutarla, ma è andata perché dentro di sé portava un dramma, un turbamento profondo, una maternità che non poteva giudicare da se stessa. Quale donna di Nazareth poteva assicurarla, capirla, darle un consiglio? Dentro di sè le rimaneva solo quella voce…avrai un figlio…. Con chi dire, confrontarsi di questa esperienza: ma sto vaneggiando? È sogno, è utopia, è fantasia, sto dando i numeri? Ma lei crede a questa voce interiore che gli ha detto anche di Elisabetta e per questo va da Elisabetta.

 

APPENA ELISABETTA UDÌ IL SALUTO DI MARIA, IL BAMBINO DENTRO DI LEI, NEL SUO GREMBO EBBE UN FREMITO, ESULTO’esultare è il verbo della danza, del salto di gioia del bambino raggiunto da una bella notizia, che non sta nella pelle. Quando finalmente avviene l’incontro, dopo il lungo viaggio, la gioia prevale. Il luogo dell’incontro è il grembo, luogo della gioia, luogo delle trasformazioni. Il termine greco significa cavità, vuoto…ma è un vuoto che in queste due donne diventa lo spazio dove custodiscono il tesoro più prezioso che è stato loro dato: un figlio.

 

GRANDE È IL SIGNORE E LO VOGLIO LODARE: Il Magnificat di Maria è ispirato dalla felicità di Elisabetta. La gioia è contagiosa e da ristoro alle fatiche del viaggio. Elisabetta ha introdotto la melodia, l'apertura è stata una benedizione che ha iniziato a battere il ritmo dell'anima e della gioia, e Maria è diventata musica. "Magnificare" letteralmente significa "fare grande". Un verbo pieno di energia, che deborda in avanti, che pare quasi eccessivo: come può una piccola ragazza di Galilea fare grande l'Infinito? Lo può fare, proprio come fa ogni donna gravida che porta a maturazione una vita nuova. Una fede quella di Maria che non è fede granitica, ma piuttosto un sentimento di smarrito stupore, e per questo sa cantare: ha guardato a me che non ho niente, ha fatto dei miei giorni un tempo di stupore, ha fatto della mia vita un luogo di prodigi. La visitazione diventa la festa delle strade, la festa dell’incontro. Due donne, due gravidanze, due età diverse eppure una che fa da specchio all’altra e nasce il Magnificat. Non nello spazio della solitudine, ma dell’affetto. Questo incontro permette a capire ad entrambe che cosa sta succedendo. Maria va perché sa che quanto è custodito nel suo grembo è legato alla vita nascosta nel grembo dell’anziana cugina.

 

CANTO DEL MAGNIFICAT: Al centro del Magnificat c'è il decalogo del Dio appassionato. Dei quattordici verbi del cantico, uno è riferito a tutte le generazioni, tre a Maria, gli altri dieci a Dio: "Ha guardato, ha fatto, ha spiegato, ha disperso, ha rovesciato, ha innalzato, ha ricolmato, ha rimandato, ha soccorso, ha promesso...".  Il vangelo di Maria annuncia che al centro della religione non sta quello che io faccio per Dio, ma quello che Dio fa per me. Al cuore del cristianesimo non è il mio agire verso Dio, ma l'agire di Dio verso di me, non il mio dovere ma il suo dono: Dio in me, che mi invita a respirare con il suo respiro, a sognare i suoi sogni, a dare vita ai suoi germi di vita. Maria è una donna che sa creare il vuoto dentro di sé. Non cerca se stessa. Ecco la serva, che si svuota di ogni suo progetto per aprirsi al mistero che riempie la sua esistenza.

DOMANDE:

  • Sono due donne di età diversa, che cosa le accomuna, perché si riconoscono?
  • Che cosa può unire oggi due generazioni diverse?
  • Nella solitudine che proviamo di fronte ai fatti che non comprendiamo, abbiamo bisogno di discernimento e di cercare persone che ci aiutano a conoscere che cosa il Signore vuole da noi. Questo ci chiede di uscire da segreto della nostra stanza per aprirci al confronto. Come può avvenire questa apertura? Quale la spinta ad uscire?
  • Hai mai vissuto un incontro dove un’altra donna ha sostenuto, risvegliato in te la vita facendoti sussultare di gioia, e il desiderio di approfondire e di conoscere sempre più quello che Dio ha deposto in te?
  • Anche noi chiamate a portare colui che ci porta. Anche noi ospitando Dio dentro di noi possiamo lasciare che ci modifichi. Che cosa lasciare e cosa potenziare perché questo avvenga? Come possiamo fare grande Dio dentro di noi?

ALCUNI FLASH DELLA NOSTRA CONDIVSIONE:

 

ANDARE INCONTRO LASCIA UN SEGNO INDELEBILE: L’incontro di queste due donne è una cosa profonda che ci tocca il cuore. Ci sono incontri che lasciano il segno perché ti fanno stare e sentire bene. Sono linguaggi corporei molto toccanti. Altri invece che non ti lasciano niente. Per incontrare l’altro bisogna svuotarsi. Mi svuoto, ti svuoto e allora incontriamo. Siamo contenitori per i drammi dell’altra, ma tutti abbiamo bisogno di un contenitore per capire il senso di quello che stiamo vivendo. Là ti senti amata e tuo figlio sussulta, parte con la sua danza.

  • Siamo varie Marie ed Elisabette. Ognuna di noi porta all’altra un aspetto della presenza di Dio. È bello sapere che queste due donne hanno saputo leggere nel mistero dell’altra il proprio mistero.

 

DRAMMA E GIOIA: Per questo Maria aveva bisogno di condividere con qualcuno con cui si sarebbe sentita compresa, capita. A volte desideriamo trasmettere i momenti di gioia, ma non sempre si arriva a farlo e non sempre hai chi ti comprende, quindi quella gioia ti resta dentro o ti ritorna indietro. Vai… da chi ti comprende!

  • Portare i pesi degli altri a volte destabilizza. Cos’è allora importante? Capire che il servizio che possiamo fare agli altri deve essere nella misura in cui io mi sento capace di viverlo senza che mi schiacci o soffochi.
  • Portava un dramma? Tante donne nella mia vita mi hanno ascoltato, hanno accolto il mio grido. Ho avuto veramente tanto da queste donne, inviate a me da Dio. Si arriva a scambiarsi veramente drammi grandi, e il sostegno che ne ricevi ti lascia dentro la certezza che non sei sola. Donne mandate da Dio.
  • Forse bisogna saper lanciare i nostri gridi, abbandonando la nostra presunzione di farcela da sole. Così lungo la strada troviamo quelle mani che prendono le nostre per fare un pezzo di strada con noi.

MISTERO DELLA GRAVIDANZA: Non c’è età che divida quando ti metti accanto all’altra che è in attesa.

GRAVIDANZA: Quando penso alla mia gravidanza torno al mio incontro con Dio. In quel periodo mi aprivo a Lui, mi fidavo, mi lasciavo portare, mi sentivo chiamata a scegliere per la vita. Affidarmi a Lui è stato la mia salvezza. A volte si arriva al limite prima di affidarsi a Dio. Poi passato quel tempo è facile tornare a riprendersi la vita, e respirare con il suo respiro diventa difficile. Quindi bisogna essere vigili per ripartire ogni giorno con l’affidamento

TRAVAGLIO: vivo un travaglio e oggi trovo un grembo grande. Cosa affido a questo grembo? Il desiderio di continuare una fecondità, voglio continuare ad essere viva. Ho un dono che voglio mettere al mondo. E raccontarlo a voi è l’inizio di una melodia. Qui dove ci stiamo scambiando cose della vita inizia una musica.

GREMBI CHE GENERANO VITA O MORTE: sento importante chiedere a Dio: dimmi cosa devo fare, sii chiaro perché io non capisco! C’è un duello tra il mio cuore e la mia testa perché la testa interviene spesso. Sento delle cose, ma faccio fatica a distinguere tra le mie e quelle di Dio. Non chi dice Dio mio, ma chi fa la sua volontà… Quindi forte si fa il desiderio che Dio sia il Dio della mia vita: avvenga di me secondo la tua Parola. Il desiderio grande è questo, ma difficile distinguere e capire tra il mio progetto e il suo.

  • Per noi donne questo incontro con Dio avviene nel grembo.

Anche gli uomini hanno il loro piccolo grembo: che è la vita di Dio dentro ciascuno. È il dono di ogni essere umano. Noi donne facilitate in questo perché generiamo vita, ma sappiamo che siamo anche grembi che generano morte: capaci di metterti in vita ma poi di darti morte.

QUANTI SUSSULTI: sono mamma, sono figlia, sono nonna, sono moglie…

Sono nonna e ascolto il sussulto del nipotino che si affida a me

Sono ancora mamma e se non voglio restare soffocata devo staccare, lasciare, accogliere il sussulto del figlio che avviene nello staccarsi da me

Sono moglie chiamata a rivivere un nuovo modo di innamorarmi… altro sussulto

Sono ancora figlia e faccio fatica a cogliere quel sussulto che mi chiede ora di fare io da madre. Il suo essere edera che si aggrappa mi pesa e per questo non colgo il suo sussulto di vita.

Tanti sussulti posso vivere e chiedo di viverli nella gioia.

STORIA DI SALVEZZA: vedo come Dio fa della mia storia una storia di salvezza proprio in questo mondo di relazioni che ho vissuto e che sono chiamata a vivere oggi. Una volta mi sentivo più Elisabetta, ora gusto proprio come Maria i vari incontri, dove sviluppo e cresce la mia femminilità. Incontro sorelle e madri, incontro persone che mi aiutano a procedere nel quotidiano. Mi sento Maria che va in cerca di Elisabetta, dove anch’io so dare qualcosa. Fatica del camminare che poi diventa gioia nell’incontrare.

DINAMICHE DELLA CUSTODIA: anche Maria è cresciuta nella fede. Quanti misteri ci abitano, quanti incontri che ti lasciano il segno. Siamo cresciuti con la provvidenza, senza avere coscienza di essere abitati da Dio. Tanta incoscienza, e quando non si sapeva cosa fare ci dicevamo: diamoci del tempo… Signore fai tu! Vivere affidati poi le cose si risolvono. Dopo 30 anni, guardando indietro scopro che qualcuno viaggiava con noi.

  • Oggi è l’incontro di Maria ed Elisabetta per me. Quanto cammino in salita per incontrare. Vi ringrazio di esserci, grazie perché ci siete. Il vostro dentro fa vibrare il mio ed è bello mettere davanti solo il bene di Dio che vive in noi ci può dare. A volte ci sono sfide alte che ci vengono chieste, e ti trovi convinta che la verità stia in te, ma poi vivere sta da un’altra parte. Signore sono qua.. affidarsi è quello che conta e mi aiuta a scoprire le cose importanti. Ti adoro, ti affido, mi affido. Vedo a volte tanta incongruenza che fa e mi fa male. Aiutami ad essere gravida di te, per non prendere sulle mie spalle quello che non spetta a me.
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INCONTRO   4 GIUGNO 2017: CON LA PENTECOSTE INIZIA LA NOSTRA RESURREZIONE

 

Questo tempo di 40/50 giorni dopo la festa di Pasqua la liturgia ci ha parlato di attesa, di assenza, di presenza, di un Gesù che se ne va e allo stesso tempo ci dice che rimarrà con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo. Oggi soffia su di noi il suo Spirito.
Giorno di Pentecoste: se la Pasqua è la resurrezione di Gesù, la Pentecoste inizia la nostra resurrezione, la resurrezione della chiesa. Noi chiediamo al Padre un sacco di cose di cui pensiamo di averne assoluta necessità, ma non sappiamo bene cosa domandare… è così è lo spirito che geme dentro di noi e chiede al Padre quello che ci rende felici. Oggi ci dice: sorgi… Un sorgere che è possibile se restiamo dentro la relazione con il Padre. Lo spirito ci conduce pian piano alla verità di questa relazione dove troviamo vita e vita in abbondanza. Lo spirito ci conduce dentro a questa verità, cioè in quello spazio di comunione che c’è tra il padre e il figlio, comunione che vince la nostra dispersione. Non è uno spirito di conoscenza intesa come sapere intellettuale per poi… Non fa leva sul nostro sforzo personale e solitario, necessario ma non sufficiente. Conoscere è co-nascere. E soffia su di noi con quel gesto di ri-creazione iniziale, ci dona continuamente uno sguardo che ci permette di nascere nuovamente. Un nascere che non è frutto dei nostri sforzi, ma qualcuno lo fa per noi.
Trovare, riconoscere quello che c’è già dentro il mio cuore, è importante per non inciampare nella nostra idea di libertà che è abituata a percepirsi e a gestirsi in modo autonomo: la nostra realizzazione senza essere in relazione. Per incontrare bisogna però allentare la presa… smettere di lottare per esistere. Lasciare la disciplina del resistere, dei nostri sforzi. Si fatica ad abbandonarsi, cedere… Lo spirito ci conduce dentro a questa verità, cioè in quello spazio di comunione, di relazione che c’è tra il Padre e il Figlio, comunione che vince la nostra dispersione.
Il cenacolo è il nostro cuore, la nostra vita: ora luogo di tenera intimità, altre volte di tenebrosa paura e ripiegamento su noi stesse. Ma è questo vuoto che ci rende vasi di creta (2 Cor 4,7) capace di accogliere la piccola favilla di fuoco, una per ciascuna, nella diversità. Una diversità che diventa anche quella delle lingue, che come abbiamo sperimentato nei nostri incontri, diventa una lingua comprensibile a tutte quando parla al cuore di ciascuna.
 
ALCUNI FLASH DELLA NOSTRA CONDIVSIONE:
  • Una difficoltà che incontriamo oggi è quella che noi possiamo vedere tutto, ma abbiamo fatto sparire l’invisibile…ma l’invisibile continua a chiamare. Non si vede ma c’è. È come il vento… non lo vedi ma lo senti. ..È riuscire a percepirlo perché non fa rumore, è soffiato in noi e riusciamo a coglierlo in queste orme visibili dentro. Senti che ti porta qualcosa dopo avere incontrato l’altro, le altre nella verità, in profondità. È sai che c’è, ed è in tutte, in tutti, come il cielo è un mantello che abbraccia tutti.
  • Non siamo più abituati a vedere l’invisibile, perché crediamo solo a quello che vediamo. Non vogliamo metterci in gioco sulla nostra interiorità perché apre uno spazio che non conosciamo. Andiamo in cerca di emozioni forti, che dobbiamo sempre più oltrepassare per sentire ancora, è come un limite da continuare a superare perché non ci basta mai. Si continua a voler superare questa soglia emotiva, ma questo tendere a… non ci permette più di cogliere, di sentire le cose leggere, quelle che non si vedono, ma che si possono percepire in profondità. Cosa ci siamo perse per strada? Bisogna allenarci e desiderare di vedere lo Spirito, bisogna farlo con costanza. Ognuno di noi si fa un’idea dello Spirito Santo, ma per me è colui che fa unità in me perché mi trasmette quell’amore del Padre che Gesù ha portato tra noi.
  • Spirito Santo come protesi, strumenti che sono a mia disposizione e che mi servono per continuare a tendere verso quell’ideale di pienezza che mi manca. Però non una pienezza associata a quella rincorsa al benessere che è un ben-stare, stare bene, stare in pace, che oggi viene proclamato in tutte le salse, ma che non è mai raggiunto. E non si raggiunge mai questo benessere perché esclude il dover attraversare quei momenti, quelle situazioni, in cui ti trovi di fronte a prove, al dolore, alla sofferenze. Evitarle non puoi, tentare di sfuggire puoi provare, ma non ci riesci. Lo Spirito si manifesta nella condizione in cui mi vengo a trovare, qui mi acquieto, senza rincorrere quella idea immaginaria di benessere che non esiste. Non tendere verso un’ideale immaginario, ma trovare un modo di stare accettando che non tutto sia perfetto
  • Sento la fatica di individuare questo S.Santo che abita in me, però me lo ritrovo quando lo invoco chiedendogli di usarmi per quello che vuole Lui, per farmi capire verso cui tendere, cosa mi vuole rivelare. Cos’è quello che invoco, cosa mi aspetto? Ho bisogno di concretezza, di toccare, di sentire. Voglio l’essenza di Dio su di me. Lui c’è dentro e lo so, ma io non lo so ascoltare. Chiedo la sua essenza nella mia vita che c’è in tutti e che va al di là dell’apparenza
  • Quando penso alla pace tante volte la vedo come: lasciami in pace a non fare niente. Mentre la pace che Lui ci dà è in quel saluto che nella nostra lingua ci facciamo e che dice: la pace di Cristo. Non la mia, non la nostra pace, ma la sua pace. Non è l’apatia umana, ma è quella forza che ti sorregge in quei momenti che tu vorresti stare ferma.
  • Cosa ci rende sorelle, fratelli? Non è tanto lo stare insieme. Si può stare insieme per ore e non riuscire a comunicarci niente. Altre volte invece basta poco e ci sentiamo capite. Cosa è successo? Siamo riuscite a trasmetterci qualcosa di quello che ci abitava dentro. È saper parlare la lingua del cuore. Questa è la pentecoste. Poter raccontare cosa e chi ci abita dentro e sentire che qualcuno lo raccoglie e lo porta dentro di sé, facendo spazio e ampliando, allargando la sua esperienza di vita.
  • Chiusa la porta del cenacolo: sì è una porta che chiudo quando sono arrabbiata… ma lo Spirito arriva anche attraversando questa mia porta chiusa…
  • Lui entra con la porta chiusa, cioè quando mi sono arroccata nelle mie cose e si rende presente sorprendendomi. Il suo arrivo è verso tutti e tocca anche chi si sente lontano e ha lingue diverse. Qual è il momento che arriva? Queste fiamme si posano, si disperdono su tutti, a ciascuno un pezzetto … e questo non ci rende omologati. Ci stanno omologando, ma lo spirito invece ci salva da questa omologazione. Io tornerò, vi rivedrò e il vostro cuore gioirà e nessuno vi toglierà questa gioia.
  • Provo smarrimento nel dare concretezza allo Spirito. Lo associamo spesso ai simboli del fuoco, vento, colomba…Ma nei momenti più impegnativi sento lo Spirito presente come forza per andare avanti, anche di sopportare quello che non affronterei mai.
  • Non è l’esteriorità che vale, quello che conta è l’essenza. Per questo, ora che sto conoscendo altro da quello che mi hanno trasmesso ed educato, mi aiuta a mollare, ad arrendermi, a dire: fai tu o Dio, perché sei in me. Non sei fuori ma sei in me e posso quindi lasciarmi portare.
  • A volte mi sento completamente vuota e mi fa bene. È come se lo Spirito agisse in questo vuoto dove io non cerco niente, perché lì io sto bene. Più io non Lo rincorro, più io Lo ritrovo.
  • All’inizio della vita cristiana l’unica scelta è quella di lasciarsi amare, non è quella di amare. Non dobbiamo riuscire neanche nell’amore, dobbiamo lasciarci salvare. L’oggi di Dio mette in luce, si manifesta nel suo amore per noi, proprio quando non ce lo siamo meritate. È questo che diventa contagio per gli altri, è questo il nostro rendere ragione della speranza che è in noi.
  • Mi sento vuota, ma di che cosa? Di fede. Ma è una mancanza che mi ha risvegliato il desiderio di conoscere. E la mia partenza la ritrovo fin da piccola, quando trovavo consolazione guardando il pezzetto di cielo che arrivava a me attraverso la grata del pollaio della mia casa… un piccolo pezzetto luminoso e misterioso che non mancava mai quando io ero desolata per vari motivi e che incontravo nella mia vita da bambina. Da allora si è innescato dentro di me un desiderio che non è mai venuto meno, che mi ha messo in movimento e che mi ha fatto crescere e continua a farmi restare in movimento nel mio cammino di fede.
  • Parlare di essenza mi ha risvegliato dentro il percepire l’essenza di un profumo. Ad esempio, il profumo di bergamotto è qualcosa che pervade tutto, è forte e sapere di portare in noi questo profumo è la cosa più bella. È un’essenza inebriante che dovremmo poi saper comunicare.
Per fare un profumo ci sono tre tempi:
1 nota di testa che si sente ma evapora velocemente
2 nota di cuore che è più avvolgente e dura di più
3 la nota di fondo che rimane nel tempo.
Alla fine c’è bisogno di un fissatore che ne migliora la stabilità, e riduce la velocità di evaporazione.
Che lo Spirito sia per noi questo fissatore. Ciascuno ha dentro di sè l’essenza prima, la presenza di Dio che con il suo amore ci impregna la vita. Nella vita di ogni persona, nel suo corpo, nel suo comunicare, nel suo esporsi questa essenza prende un profumo, una fragranza diversa. Lo spirito fissa in noi questo profumo che però non si può trattenere, racchiudere. Gli altri incontrandoci possono annusarlo, impregnandosi di qualcosa che ricevono così per contagio. E così, questa fragranza comincia a diffondersi e a cambiare quell’aria viziata che la nostra cultura del benessere, rinserrandoci dentro ai nuovi cenacoli con porte chiuse, come una cappa ci sovrasta e fa passare per indispensabile un unico odore, che non permette di cogliere la leggerezza della multiforme presenza di profumi diversi.

 

INCONTRO 7 MAGGIO 2017: UNA PAROLA CHE FA ARDERE IL CUORE

 

L’altra volta ci siamo fermate su come la Parola chiede di trovare casa dentro di noi.
Abbiamo visto che ci vuole tempo per scendere dentro e renderci consapevoli di ciò e chi ci abita.
Abbiamo inoltre preso consapevolezza che una delle nostre caratteristiche femminile è proprio quella di lasciarci a volte invadere da ciò che lasciamo entrare dentro di noi, soprattutto quando desideriamo fare qualcosa di buono per chi amiamo e vediamo stare male accanto a noi.
Non siamo noi che salviamo, c’è solo Uno solo che salva, e noi possiamo indicare la strada a chi ne ha bisogno solo l’abbiamo incontrato nella nostra vita, solo se ci sentiamo e ci riconosciamo non una volta, ma più volte salvate. O se sappiamo alzare il nostro grido a LUI: salvami!
Ancora abbiamo visto la fatica che facciamo di lasciare che la vita accada come si presenta e non come vorremmo pilotarla noi…
Dentro a questi fatti possiamo imparare un altro modo di stare e di rapportarci con la realtà se non la osteggiamo, se non la combattiamo ma se l’accogliamo.
 
QUALE PAROLA CI PORTIAMO DENTRO PER VIVERE LA NOSTRA RESURREZIONE?
ALCUNI FLASH DELLA NOSTRA CONDIVSIONE:
 
GESU’ PASTORE E PORTA
Nella difficoltà di rispondere a questa domanda oggi mi aiuta proprio la parola di Dio che parla di Gesù che mi dice: io sono la porta… Porta richiama a questo passare, a questo lasciar passare.. Lui si pone come uno che ci permette di attraversare, di passare… attraverso di me….tu puoi passare. Questo passare attraverso di Lui mi permette di custodire quello che fa ardere il cuore. Lo accolgo nel mio vuoto.
Quando io ho il coraggio di scendere in questo vuoto con la consapevolezza di incontrare qualcuno che già ci abita, io posso conoscermi, ri-trovarmi nello sguardo che ricevo da Colui che conosce tutto di me… le mie debolezze, resistenze, timidezze, limiti che nascondo agli altri… ed è lasciarmi guardare così nella verità che mi permette di rinascere nuovamente a qualsiasi età. Oggi posso ripartire da qui… con questo sguardo che mi riporta fuori, con il desiderio di essere me stessa.
Faccio attenzione anche a quello che gli altri dicono di me, perché a volte riescono a vedere quello che io non mi riconosco. Porre attenzione che questi non siano però ladri e briganti, che mi avvicinano e mi dicono cose per un loro interesse personale, un guadagno, un tornaconto.
 
IO PORTA
È un’esperienza forte che ho fatto quello di lasciare che l’altro entri ed esca … tu sai che ci sono e ci sarò sempre. Arrendersi a questo lasciare libero l’altro è liberatorio. Sai che non lo puoi condurre, ho tentato di farlo ma non funziona. Quindi mi ritrovo in questo lasciare aperta la porta sapendo di avere questo spazio vuoto dentro che può accogliere.
Per stare dentro a questo vuoto, senza che diventi lacerante, devo riempirlo di Dio. È mettersi in ascolto di quelle cose che Dio vuole fare passare attraverso di me. Ha bisogno di me per esprimerle.
Sono strade del cuore che comincio a percorrere non da sola, non da sole, perché siamo abitate.
Ecco perché il cuore diventa non solo il luogo delle emozioni, ma il luogo dove prendo le decisioni. Qualcuno è con me, è in me mi aiuta a prendere queste decisioni e a fare ordine nelle priorità per la mia vita e per quella di chi mi vive accanto.
 
I DISCEPOLI DI EMMAUS
Uno dei due non aveva un nome… io sono questa che cammina senza un nome… lungo la strada brontolo… porto le mie aspettative deluse… cammino sopra a quello che è stato recriminando… ma mi rendo conto che non è stare ferma sul passato deludente che conta, ma c’è un presente che mi chiama. E il presente è bello! Io voglio portare questo bello… non ho bisogno di vedere e toccare… il bello c’è anche dentro di me. Ma devo fermare quel mormorio del cuore: se fosse andato diversamente… se le cose fossero andate come avevo pensato io … E’ un dire basta a tutti questi se e ma…basta restare ferma lì…voglio vivere l’oggi. Anche se oggi non arrivo dove volevo, non importa. È un altro modo di stare in strada.
Uno dei due non aveva nome… forse non ha nome anche quello che dentro di me chiede di essere espresso. Non ha nome quello che dorme dentro di me e che è risvegliato solo da quel cuore che si fa presso di me lungo la strada. Ecco che il senza nome, il bello che è dentro di me, viene spinto fuori, mi attraversa e mi mette nuovamente in strada per annunciare quello che fino a quell’incontro che mi ha fatto ardere il cuore restava muto dentro di me. Ora lo riconosco in me è mi permette di ritornare sui passi di sempre ma con una gioia nuova che diventa annuncio di vita risorta.
 
MI LASCIO ATTRAVERSARE DA UNA PAROLA CHE TENGO DENTRO DI ME: GRAZIE!
Mi accompagna la parola: non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra… fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te. È un bene che chiede di essere espresso, fatto… con quella pacatezza e mitezza che Gesù si poneva davanti alle persone che avevano bisogno. È quel senso di gratuità che tiri fuori non per il senso di dovere, ma proprio perché di fronte alla mancanza che vedi nell’altro desideri che quel bello e buono tocchi anche la sua vita. Nel momento in cui lo fai, anche se costa fatica, senti nascere dentro una gioia profonda, ed è questo il segno di una forza che ricevi da colui che te la dona per il bene di tutti. Ecco che il grazie che tengo dentro mi attraversa e si esprime nella gioia che provo.
 
RESURREZIONE E’ ESPRIMERE LA GIOIA
È un lasciar passare la gioia anche quando le situazioni non sono facili, sono dolorose… perché sai che non tutto finisce lì nel dolore. È cambiare movimento che ti porta ad esprimere la gioia anche se devi affrontare i soliti problemi, anche se le varie situazioni non cambiano. Quando esprimo questa gioia profonda che è dentro di me, anche chi mi sta attorno ne riceve il senso positivo e attorno si propaga uno spirito diverso, una serenità di fondo che migliora i rapporti in famiglia.
 
RICEVERE LA VITA
Non posso fare altro che attraversare la vita così come si presenta. Ma per questo ho bisogno di fare silenzio per ricevere me stessa. Bella la frase: ritirati in te, ma prima preparati a ricevere te stessa. È un silenzio, una solitudine che faccio e vivo davanti alla parola, e altre volte solo nel ascolto di quella che sono. È un silenzio che faccio in me stessa e questo non produce niente, ma non è sterile perchè crea spazio che mi fa trovare un nuovo respiro.
 
TUTTO QUELLO CHE MI ATTRAVERSA PUO’ SERVIRE SE LO CONSEGNO A DIO CHE E’ IL FEDELE
Mi attraversa oggi una rabbia verso una chiesa ferma incapace di riconoscere i doni che lo spirito suscita nelle persone… questa rabbia so che non ha l’ultima parola perché posso contare sulla fedeltà di un Dio che non si stanca di aspettarmi per ricevere anche solo questa rabbia che non so a chi consegnare. ..Entro in quel posto segreto del mio cuore, dove trovo chi mi sta attendendo, e pian piano vengo condotta fuori dai miei orizzonti, dai miei modi di pensare e mi arrendo di nuovo a quella dichiarazione che da anni mi sostiene: ti porterò nel deserto, ti farò mia sposa per sempre…. Desidero che la mia delusione non riempia il mio vuoto, che può togliere lo spazio al suo “VIENI!”(Ap.22,20) e al mio rispondere: sono qui, vieni!.

INCONTRO 9 APRILE 2017: ENTRARE IN QUEL LUOGO SEGRETO CHE E’ DENTRO DI NOI

 

Lc 1,28: E l’angelo entrò da lei…
 
non entrò nella sua casa, o nella sua stanza, ma da lei, facendosi vicino alla sua persona, introducendo la parola di Dio nel segreto della sua esistenza. È nella sua corporeità che ella può trovare il luogo santo dove abita il suo Signore. I luoghi dove cercare Dio non sono lontani da noi, non ci chiedono di andare altrove rispetto a quanto viviamo. Il luogo siamo noi: il nostro corpo, la nostra vita. Perché Dio è l’Emmanuele, il Dio con noi (Is 7,14; 8, 10)
Eb 10, 5: tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Un corpo che non è solo lo spessore carnale della nostra vita, è dove la sua Parola prende carne.
La sua volontà è che i nostri corpi diventino luoghi della sua parola.
Per prendere consapevolezza di quell’ armonia che caratterizza il nostro essere donna, bisogna saper andare in quel luogo segreto che è dentro di noi.
Per penetrare nell’interiorità, c’è un bisogno urgente di abbandono e nudità. Serve il cedimento della volontà, che invece è tenace e non accetta di lasciarsi andare.
Non possiamo vivere in balia di quello che da fuori lasciamo entrare dentro di noi.
Quante volte la nostra sensibilità rimane ferita perché siamo indifese da quelle provocazioni che ci giungono da fuori, da chi ci vive accanto.
Dobbiamo trovare il coraggio di scendere in quella solitudine che una volta entrate troviamo già abitata. E lì che Lui ci aspetta e ci chiede di permettere alle sue mani di Padre e di Madre di raccoglierci, di proteggerci, fino a fare attorno a noi come una trincea dove nessun male può ferirci. E quando anche ci sentissimo ferite imparare a consegnare queste lacerazioni dell’anima, i suoi ripiegamenti, all’azione dello Spirito di Gesù risorto per permettergli di sanare e di guarire.
Arriveremo un giorno a lasciare il nostro dolore nelle sue mani, a stare davanti a Lui non con i pugni chiusi, ma con le mani aperte. Ed è qui che sperimentiamo la resurrezione.
Quando parliamo di resurrezione la pensiamo lontana, alla fine della vita…. ma non è là in fondo… non è il premio finale alle nostre fatiche. La resurrezione è Gesù che abita in me e porta quello che mi sembra lontano, alla fine della vita, là in fondo vicino: io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me vive da risorta (Gv 11,25), fuori da quel sepolcro dove abbiamo sigillato e tarpato le ali ai sogni perché abituate ad essere così realistiche da non saper più ascoltare quello che incessantemente Gesù sta pregando in me, portandomi al Padre.
 
DOMANDA:
 
“Invece di chiederti chi sei, prova a rispondere a: “CHE COSA LASCI PASSARE ATTRAVERSO DI TE?”
CHE COSA LASCI ENTRARE?
 
ALCUNI FLASH DELLA NOSTRA CONDIVSIONE:
Scendere
 
  • La parola di Dio chiede di entrare non in una casa ma dentro di noi.
  • Per accogliere questa Parola non occorre alzare gli occhi ma scendere in profondità.
  • Allenarsi a scendere non è facile, perché troviamo dentro di noi tante resistenze. Se da una parte è bello scoprire cosa teniamo nel nostro magazzino, dall’altra possiamo anche scoprire quello che non ci piace. Ma non è detto che tenerlo nascosto sia indenne. Scendere per trovare quel posto segreto dove c’è Qualcuno che già ci abita per non lasciare che la nostra sensibilità ci lasci ferire continuamente da quello che viene dall’esterno.
  • Come frequentare quel posto segreto che è dentro di noi?
  • Un modo che ho sperimentato è stato quello di salire in camera e di chiudermi la porta a chiave. A volte anche i gesti esterni servono a rientrare dentro di noi. Questo mi ha permesso di fare verità. Chiamavo per nome e riconoscevo i bisogni che avevo. Una volta provato non è che funzioni sempre, che funzioni a mille, ma pian piano la testa comanda meno e ci si apre alla fiducia.
  • Comprendo che non posso rispondere alle mie mille domande e per questo metto tutto nelle mani di Dio. Devo arrendermi a metterle nelle sue mani.
  • Scendere permette di lasciare che la vita accada…
  • Quando siamo dentro ai fatti dolorosi della vita, non subito, non mentre li sto vivendo, ma dopo posso scoprire il senso di tutto quello che è successo.
  • Per questo quando ci troviamo con degli ostacoli che ci sembrano proprio tagliare la strada che abbiamo pensata, sognata, desiderata, progettata … quello che si può fare in quel momento non è mettersi in difesa o in attacco, ma lasciare che i fatti della vita raccontino altro e mi portino a vivere altro da quello da me pensato.
  • Vivere anche quello che non si capisce poi ti permette di essere riconoscente immensamente quando poi il dono ti arriva inaspettato.
  • Vivere in quel momento quello che si presenta anche difficile nell’incontro con l’altro, vivere quello che non avevi messo in conto, ti permette di trovarti dentro la sua Parola che risuona e si rende concreta nel tuo metterti a disposizione. Solo così ti ritrovi l’energia che Lui ti dà per fare quello che tu non avresti mai fatto se non ti fosse capitato e non ti fossi arresa a quella condizione. E così ti ritrovi capace di fare come per miracolo le stesse cose che ha fatto Gesù con gli altri.
  • Scendere in profondità per smettere di farci domande
  • Voglio smettere di chiedermi e capire se faccio giusto o sbagliato, se sono capace di pregare…. e ascolto il desiderio di incontrarLO, e mi lascio portare dalla commozione che mi allarga il cuore e che mi permette di incontrare chi sta già portando dentro di me la mia preghiera a quel Dio che è Padre e Madre.
  • Non occorre essere a posto perché solo se salvate salveremo… solo lì, quando ci incontreremo con il Salvatore i nostri occhi non avranno timore di lasciare uscire le lacrime di gioia, di contrizione, di amarezza, di amore… sapendo che Dio le raccoglie tutte, non ne lascia cadere una, le raccoglie nel suo otre (nel suo grembo) per continuare a generarci nuovamente e fare di noi il suo capolavoro. Non un capolavoro fatto con le nostre opere buone, ma con le nostre lacrime, soprattutto quelle che ci permettono di lavare il nostro sguardo così offuscato da non incontrare il suo pieno d’amore nei nostri riguardi.
  • Se lasciamo entrare tutto senza difesa alcuna, il nostro luogo interiore viene tutto occupato e non ci permette di lasciare che Gesù risorto abiti in noi.
  • Ecco che la presenza di Gesù dentro di noi, ci aiuta a costruire una trincea, o meglio ci permette di sentire che questa trincea è fatta dalla mani di suo Padre che ci circonda per permetterci di non restare in balia sia della nostra sensibilità che facilmente si lascia ferire da tutto quello che ci giunge da fuori, sia da quello che non riusciamo ad accettare di noi.