INCONTRO 2 SETTEMBRE 2018:
SCENDERE DALLA TESTA AL CUORE
SCENDERE NEL CUORE PER SCOPRIRE LA RICCHEZZA CHE GIÀ È DENTRO DI NOI
DALLA MENTE AL CUORE… MA CHE COSA PENSIAMO E SENTIAMO QUANDO PARLIAMO DI CUORE?
Proprio vivendo accanto a chi non sta accettando una vita terrena che sta per finire, mi fa da specchio… perché la sua paura della morte mi fa ritrovare e cercare la mia centralità della vita.
Queste sofferenze mi hanno spogliato di tutto… è stato un trovarsi a non avere più niente. Poi facendo il punto della situazione ti ritrovi dentro che alla fine resta solo l’amore, senza aspettative e pretese, solo l’amore dato e ricevuto in modo gratuito. E mi rendo conto oggi che questo amore che resta mi pone davanti alle persone che incontro in modo nuovo. Ho sempre fin da piccola amato le persone che incontravo, perché penso che nessun incontro viene per caso. Poi anche il lavoro che faccio con i bambini mi aiuta in questo dare. Ma poi con il tempo pretendevo anche un ritorno, di essere a mia volta amata, mentre ora scopro bello dare questo amore senza avere un ritorno perché ho fatto un’esperienza forte di essere amata.
Mi è successo dopo che mi è capitato un’esperienza forte di morte, che mi ha portato a chiedere a Dio non di comprendere il perché del dolore, ma di accogliere la sofferenza. In una notte stellata presa dal dolore per la morte di mio fratello guardando verso l’alto mi sono sentita di chiedere a Gesù: tu che conosci il patire dammi la grazia di accogliere questa sofferenza. In quel momento mi sono sentita avvolgere da un abbraccio caloroso che mi ha percorso tutta, facendomi percepire di essere amata come non lo ero stata mai. Questo essere avvolta dal suo amore, mi ha dato consapevolezza che mia sorella e mio fratello erano vivi e vicini a me con il loro amore. Tutto ciò mi dava una gioia grande che naturalmente non potevo dire a nessuno perché mi avrebbero presa per matta. In quel dolore ho provato una gioia profonda. E nella sofferenza ho trovato il senso della vita. Questo per me è stato una grazia perché so che il dolore può fare precipitare anche nella disperazione. Ma io attraverso la sofferenza mi sono ritrovata. È stato poi un percorso lungo da fare, perché poi quando è morto mio marito, ho dovuto darmi tutto il tempo per non restare dentro lo sconcerto dei progetti che non potevo più portare avanti insieme a lui. Ma ora sento che l’ho lasciato andare…e rimane l’amore vissuto, dato e ricevuto.
Non so perché non riesco ad avere sempre questa partenza… e quindi resto “cupita” e faccio le cose a testa bassa. Questa spontaneità è un canale buono, perché noi siamo persone buone e sarebbe belle avere quelle condizioni per esprimere il buono che è dentro di noi. Spontaneità che è tirar via le barriere, le imposizioni che anche gli altri ci mettono addosso, e i muri che mettiamo quando dobbiamo essere e rispondere ai doveri che ci spettano.
E poi c’è la quotidianità con la sua routine che a volte non ci permette di vedere la bellezza delle piccole cose che gli altri ci danno e non siamo capaci noi di dare quello che abbiamo dentro. E così i rapporti si logorano più facilmente dentro un tram- tram che non permette di avere uno sguardo diverso verso chi incontriamo sulla porta o fuori dalla porta di casa. La lontananza a volte permette di sentire e cogliere quello che è vero, quello che veramente conta, perché anche solo una telefonata ti fa sentire speciale per chi ti sta chiamando. Abbiamo bisogno di qualità nei rapporti, non per obbligo, ma perché senti che dai spontaneamente quello che conta e questo crea relazioni che fanno bene. Altra cosa fatta con il cuore è dedicarmi del tempo per me. Questo mi permette di fare chiarezza sapendo di poter parlare con Lui.
C’è stato un tempo prezioso che ho vissuto questa estate, quando abbiamo accolto a casa mia una mia amica malata di tumore che veniva da lontano. Accogliendola con il cuore è stata lei che poi mi ha dato una “botta di vita”, perché mi ha fatto comprendere la bellezza delle piccole cose, gustate con gioia, perché pur essendo piccole, semplici, prendono un altro sapore sapendo che le vivi come fosse l’ultima volta. E questo mi ha fatto scoprirne la preziosità di ciò che abbiamo e che non ce ne rendiamo conto. Accoglierla è stato bello, e la ricchezza l’abbiamo ricevuta da lei che ha avuto il coraggio di fare questo viaggio e di venire da noi portandomi anche un po’ della mia terra lontana.
Quante cose facciamo per pro-forma e pare non riusciamo più a parlarci senza più prendere il cuore e metterlo là in quello che comunichiamo tra noi. È avere anche il coraggio di dire le cose come stanno, di buttarci dentro il cuore senza avere nessuna pretesa. Può darsi che se qualcuno parte in modo diverso a comunicare e dire le cose come vanno veramente, può provocare una chiarezza diversa di dialogo tra di noi.
INCONTRO 17 GIUGNO 2018:
CAMMINA CON IL CUORE: SCENDERE DALLA TESTA AL CUORE
Prima di vivere il riposo delle vacanze, cerchiamo di trovare oggi una panchina su cui sedersi e so-stare per sintonizzare il nostro corpo dando ascolto al cuore. Con Etty Hillesum chiediamo: oggi voglio ritirarmi e riposarmi nel mio silenzio: nello spazio del mio silenzio interiore a cui chiedere ospitalità per un giorno. Se vogliamo affrancarci dai pesi della vita, è necessario vigilare sulla nostra facoltà di pensiero e la nostra abitudine a rifugiarci nella nostra immaginazione: se cambiasse quella cosa… se succedesse che quello finalmente comprenda…. se non ci fosse… e intanto aspettiamo. È tutto in testa, è tutto finto… non c’è e non sarà mai come lo pensiamo noi ora, per quanto il nostro progetto sia bello e il nostro obiettivo santo. Abbiamo solo la possibilità di vivere quello che ci viene dato oggi. Se ci impuntiamo a realizzare il pensato da noi, non diamo ascolto al cuore.
Le frasi: sentieri del cuore… camminare con il cuore ci risvegliano una nostalgia, una possibilità altra che non conosciamo fino in fondo, ma se ne sentiamo la mancanza, vuol dire che qualcosa di questo percorso l’abbiamo già provato, sperimentato e l’abbiamo sentito come un bene per noi.
Ci sono ideali di una famiglia felice, di fecondità, di pienezza di vita, di realizzazione personale che sono illusioni perché ci fanno evadere dalla realtà presente oggi, con le sue gioie ma anche con i suoi dolori, fallimenti ecc…Pensiamo sempre di potercela fare, che prima o poi passi, e arrivi quell’approdo felice tanto sognato. E intanto, continuiamo a riempire il cuore di fatiche ulteriori, senza mettere quel silenzio dentro per ascoltarci in profondità, per evitare che il cuore si indurisca e il corpo soffra più del necessario per un difetto di comprensione e compassione anche nei nostri riguardi. Quando il corpo è stanco e continuiamo a chiedergli di procedere, per un po' va bene, perché da alcune fatiche non possiamo esonerarci. Ma quando questo ci toglie speranza, la gioia di vivere, e dentro di noi non troviamo il senso di quello che stiamo facendo e il motivo per procedere, forse è il momento di fermarci e chiedere aiuto. Quando sembra tutto finito, quando qualcosa ci crolla addosso perdiamo facilmente la prospettiva. Ma se crediamo che Dio si sta occupando di noi, in questo istante più e meglio di quanto accada ai gigli del campo, forse ci viene chiesto di avere un altro sguardo, per cogliere l’altra strada che si apre sotto i nostri piedi, ancora sconosciuta, forse incerta, ma possibile. Allora, un ulteriore significato alle cose inizia a prendere forma e trovare il suo posto, proprio là, dove avevamo idealizzato dovesse esserci altro: quello da noi pensato e sperato. Dio non ci chiederà mai di rinunciare, ma di lasciare quello che ci sta facendo male, per imparare a rileggerci dentro ad un storia più grande.
I momenti vocazionali della nostra vita sono molti e sono segnati anche dai nostri passaggi di età:
giovinezza/sponsalità/materntà/fecondità/sterilità/dedizione/vecchiaia/ecc…
Tutti questi tempi vissuti ci hanno portato fino al nostro oggi, ci hanno dato identità e ci ritroviamo con un bagaglio di esperienze positive e negative vissute.
Una vita che il cardinal Martini suddivide nelle quattro stagioni:
Se la giovinezza ci ha fatto correre il rischio di distrarci e non avere occhi per cogliere dove e in Chi sta l’origine della vita, ora non lo possiamo più fare. Soluzioni, risposte, strategie… ne abbiamo già tentate tante. Se vogliamo scendere dalla testa al cuore, la decisione da prendere è quella di sgomberare lo spazio del cuore dalle nostre fissazioni, da quello che abbiamo in mente, anche se pensato come bene per noi e per gli altri. I sentieri nel cuore ci sono, e quando mi sento tanto stanca, forse ho preso una strada che il cuore fa fatica a percorrere e per questo poi il corpo si sfinisce.
E’ da “custodire il dono di Dio che è in noi…egli ci ha chiamate ad una vocazione santa, non già in base alle
nostre opere, ma secondo la sua grazia” 2Tim 1,6-9
È un custodire quello che intuiamo e sentiamo già presente in noi, ma anche quello che non comprendiamo. Il non conosciuto non è da buttare via, ma è da trattenere dentro continuando a interrogarci sul suo significato per restare dentro a quel mistero di cui siamo avvolte. Un mistero che non è qualcosa di incomprensibile, ma uno spazio che imparo a frequentare mettendomi dentro un passo dopo l’altro. È altro che intestardirci a far funzionare le cose che non vanno, ma è frequentare quello spazio dove impariamo a sperare e attendere.
Qui nasce quell’ interrogativo più profondo: non come far andare le cose, ma chi voglio essere, o meglio
provo a chiedermi e a dare un nome a quella donna che Dio oggi sta pensando per me.
Noi diventiamo sante (colui che vive bene l’oggi che gli viene dato) non per le nostre opere, ma per la sua grazia, quella che Gesù sulla croce ha ottenuto per noi: una grazia, un dono gratuito che ci cambia il cuore, la parte più profonda di noi. Non ci cambia i vicini, le colleghe, il corpo, la testa dei politici, non ci toglie le ingiustizie, le malattie, ma ha il potere di cambiare la parte più profonda di noi: il cuore. Il luogo dove noi prendiamo quelle decisioni che ci rendono libere. E non lo diventiamo perché tutto funziona intorno a noi, ma siamo e diventiamo libere nonostante tutto non funzioni attorno a noi, nonostante tutte quelle fragilità e limiti che possiamo trovare dentro la nostra e altrui vita. Non dobbiamo sforzarci di diventare qualcosa, perché ciò che siamo dipende dal dono di Dio che è già in noi, dobbiamo però impegnarci a non sprecare questo dono.
Etty dal suo campo di sterminio dice: ci sarà sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera…
Dove troveremo la forza per questa preghiera? Non in noi ma nel suo cuore, nel suo amore.
Perché io ti amo tu troverai la forza per fare tutto quello che ti rende più umana, più donna. Senza di me non puoi far nulla: lasciati amare! Lasciati portare fuori dallo spazio ordinario che già conosci bene, per entrare nello spazio dove ci sono io. Qui con me scoprirai a quale libertà ti voglio condurre, e che anche se le cose non andranno come hai sperato, non ti toglieranno quella gioia di vedere la tua vita pian piano trasformata nella mia.
ALCUNE DOMANDE E RIFLESSIONI PER APPROFONDIRE:
1. Provo a dare un nome al bisogno, al motivo che mi spinge oggi a cercare le strade del cuore.
2. Quando mi dico: ormai mi conosco, sono fatta così, sono la solita, non c’è niente di positivo in me, sbaglio sempre, oppure gli altri mi impediscono di essere, mi chiedono di ecc… mi accorgo che sto girando attorno a me stessa, alimentando il mio senso di inadeguatezza, non lasciandomi raggiungere da Gesù che vuole portarmi oltre?
3. Desidero veramente ricevere la carezza di Dio? Se Lui è sempre lì disponibile a darmela, che cosa mi impedisce in questo momento di sentirla sulla mia pelle, nella mia vita?
4. Scendere e sgomberare quello che mi impedisce di incontrarlo, che cosa mi richiede?
5. Oggi mi decido di vivere quel passo che mi permette di scendere a valle custodendo in me il nome nuovo che Lui oggi mi ha fatto percepire come bello per vivere in pienezza la mia umanità: provo ad ascoltare quel nome di donna che Dio oggi sta pensando per me. Questo nome diventa la mia tensione, la mia strada da percorrere a cui tendere. È lasciare che questo nome, che questo suo sogno diventi quello che plasma la mia pelle, il mio sguardo, la mia bocca… in modo da non essere più un isolata che decide in proprio, ma una abitata che gira per le strade mai più senza di Lui.
E vigilo per non lasciarmelo portare via da quello sguardo con cui a volte ammazzo dentro di me quella umanità piena a cui Dio mi sta portando. Questo crescere in umanità è il più bel segno, è il più bel dono che possiamo comunicare a chi vive accanto a noi.
I passi concreti per vigilare possono essere: meditare, pregare, fermarmi, custodire le intuizioni profonde,
chiedere o mendicare aiuto/ mollare l’orgoglio di farcela da sola/ lasciare delle cose che ho scelto e che mi
stanno togliendo vita/ aprirmi ad altre relazioni/ lasciare quelle che sostengono e mi confermano nel mio
solito modo di fare e procedere, quelle che mi danno ragione/ lasciare l’affanno, l’ansia/ lasciare il mio
sproloquiarmi addosso che non mi permette di guardarmi con lo sguardo con cui mi guarda Dio/ restare
sola con Lui …
RISONANZE DELL’INCONTRO
A tutte viene consegnato un cuore, dove scrivere durante l’incontro o nelle vacanze:
“Che nome di donna Dio oggi sta pensando per me”.
Non adagiarti sui passi compiuti, rimettiti in cammino per cercare ancora. Compiuti i 60 anni ci si gira per guardare alla vita fatta, ma non per fermarsi, ma per prendere consapevolezza di quello e come il Signore ci ha accompagnati, e ripartire con l’idea di rimettersi in cammino perché ogni giorno porta in sé un’opportunità nuova.
Il nome … più che quello che pensa Dio che non ho ancora capito bene, è quello che desidero io e che penso lo pensa anche Lui: vorrei trovare la pace sua, non quella che dà il mondo, ma la sua pace. La vita quotidiana tante volte porta ad entrare in conflitto con le cose che succedono, ma se mi lascio prendere dalla rabbia sento che mi porta via energia, vita. Per questo, vorrei proprio scoprire il segreto per vivere in pace al di là di come vanno le cose che ogni quotidiano porta con sé. Vorrei essere profumo, perché è qualcosa che si sente quando si va vicino, che non si può possedere, rubare…ma che mi dice che Dio esiste, perché pur essendo invisibile si distingue, si percepisce. Chi può dire che una rosa non sa da rosa, la lavanda non sa da lavanda, così quando uno passa sente che ho Dio in fianco.
Il nome è quello di amata, ma amata da me stessa. So che il Signore già mi ama e anche le persone che mi sono attorno mi danno la sensazione di essere amata, ma quello che mi manca è di sentire che anche io mi amo di più.
A volte quello che proviamo è un difetto di comprensione e compassione anche nei nostri riguardi... Per imparare a frequentare quello spazio dove sperare e attendere… due parole forti, grandi che mi aprono un cammino. La conseguenza sarà quella di avere il potere, la possibilità di cambiare la parte più profonda di noi: il cuore. In questo spazio, posso sentire questo soffio, che anche se soffio è qualcosa di forte, è vento. Non dobbiamo sforzarci di diventare qualcosa, perché ciò che siamo dipende dal dono di Dio che è già in noi, dobbiamo però impegnarci a non sprecare questo dono.
Credo che qui c’è il materiale per farmi un percorso dove trovare e avere questo amore anche nei miei confronti, accettando le mie imperfezioni, le mie difficoltà, il mio camminare lento o veloce. Entrare in profondità per capire quali sono i momenti di attesa per guardar le cose, e quelli in cui è necessario invece mettersi in movimento.
Se il Signore già mi vuole bene cercherò di accettare le difficoltà delle quotidianità, tenendo presente che c’è qualcosa che va al di là dei limiti fisici, umani e del quotidiano, siamo anche altro, c’è una storia più grande. Qui, in questo altro e non ancora intravedo un percorso possibile da fare.
Prendere un altro ritmo che è quello del seme, dove cerco di ascoltare la vita che preme già dentro per crescere. L’unico impegno è quello di lasciare fuori tutto quello che vorrebbe smentire o bloccare questa crescita.
Vorrei essere saporita come una fragolina di bosco che ho trovato. Ho letto poi i cartelli: Tutto ciò che vive desidera la carezza del creatore. Bello! Però mi sono fermata su quello che dice: quando le tue gambe sono stanche, cammina con il cuore. Che bisogno di trovare questa panchina per camminare con il cuore.
Quest’anno non ci saranno vacanze, e da come sto vivendo non c’è neanche riposo.
Ultimamente sento un po’ di stanchezza, ma cerco di andare avanti. Continuo a riempire il cuore di fatiche ulterori, ma il mio cuore incomincia ad indurirsi, non è più quello di prima. Anche il corpo comincia soffrire e mi dà i primi segnali di cedimento. Cerco di mantenere i ritmi di prima ma non ce la faccio. È impossibile.
Vado al lavoro, finisco, ritorno a casa e tento di fare le cose come prima, mantenendo i soliti ritmi di quando non andavo a lavorare, ma anche gli elettrodomestici cominciano a bruciarsi. Sono segni chiari che è il momento di fermarsi. Sento il bisogno di cambiare il ritmo, cambiare movimento. Come vorrei far andare le cose non va. Anche mio marito mi ha detto che continuando così potrò avere la casa pulita ma poi potrei trovarmi sola. Non so come darmi una regolata, non ho idea di come fare ma per ora riconosco di essere veramente stanca.
Io sono tante volte un riccio non accarezzabile. Per tanti anni ho tenuto una foto di fronte al letto dove io anche il giorno del matrimonio mi ritraggo di fronte ad una carezza che mio marito mi sta donando. Mio marito mi diceva: guarda che foto hai scelto di mettere nella parete della nostra camera… ma sei proprio così. Ora l’abbiamo cambiata, ma è rimasta là per tanto tempo ed effettivamente io ero così.
Io non sono una che bacia e abbraccia e quando lo faccio sento che non mi viene così spontaneo. Ma la carezza rappresenta il fatto di lasciarmi avvicinare; invece io tenderei a fare tutto io e questo allontana.
Oggi sento che questa carezza rappresenta questo Dio che mi dice fermati, ti posso prendere, ti prendo io! Tutte queste riflessioni mi portano a riconoscere questo sentirmi a volte soffocata, questa mancanza di gioia… ieri dovuta forse al fatto che avevo anziani sul collo da accudire che pressavano molto… ora ne ho uno solo e ho imparato a gestirlo senza farmi sensi di colpa. Però la carezza mi manca ancora.
Tutti abbiamo bisogno della carezza del Creatore, perché è quella carezza che ci viene donata così come siamo. Di fronte alla gratuità di questa carezza ci ritiriamo perchè pensiamo di non essercela meritata. Inseguiamo un ideale immaginario, un modello di come dovremmo essere che ci fa sentire sempre limitate, imperfette e quindi non meritevoli di amore. Solo la carezza donata così senza meriti, è quella che il nostro cuore attende, ci fa bene e ci fa cambiare. Ma noi, prese dal tanto fare per gli altri, non abbiamo neanche tempo di ricevere queste carezza. Bisogna riconoscere questo bisogno di carezza e arrenderci a Chi ce la sta donando, arrenderci a ricevere.
Ogni cosa che vive desidera la carezza del Creatore. Pensando alla vita quanto è intensa, dove tutto vive, tutto è vita, colgo in questo vivere bello per me la parola accarezzata. La carezza è tenerezza ma è lieve. Non è quella botta sulle spalle che ti dice: dai forza, dai vai avanti, ma la carezza è leggera e dice: Io ci sono e ti voglio bene così come sei oggi. In certe difficoltà ho bisogno di conferme importanti, invece il Signore c’è in questa sua presenza lieve che mi aiuta a custodire il dono di Dio che è in me, non per i miei meriti ma per la sua grazia.
Quindi, importante trovare quel tempo di calma che mi permette di percepire la sua carezza. Se mi calmo lo colgo, lo sento presente, e vedo la sua provvidenza presente, che c’è e mi aiuta fare tante cose. Ma ho bisogno di trovarlo non solo per fare ma per me stessa. È un bisogno di sentirci, di sentirmi amata per quello che sono. Noi viviamo, ma dobbiamo riappropriarci della nostra vita non solo per dare agli altri, ma per noi stesse. E venendo quassù, è anche questo un tempo che mi dò per trovare le strade del cuore. È come un camminare tanto nel caldo afoso e poi trovi un bicchiere di acqua. È acqua, è chiara, è semplice, ma in quel momento di caldo ne hai bisogno e quel bere fa ripartire e ti dà vita. Venire, leggere il sito è proprio come bere acqua fresca.
Camminare con il cuore risveglia una nostalgia e scendendo giù verso il labirinto mi sono fermata per un colpo alla schiena. Il quel momento mi sono girata e ho visto il cartello con l’immagine dell’esperienza fatta con i ragazzi quassù, e mi è venuta una grande nostalgia. Per vivere con i ragazzi quei due giorni quanto tempo abbiamo speso anche noi catechiste per prepararci, ed è stato importante anche per noi. Ma quella nostalgia di cose che ora sembrano non esserci più può frenare il procedere. Ma poi, lì accanto c’era l’altro cartello, che diceva non smettere di cercare. Un cercare che ho sentito non per fare ma con quel bisogno di ritrovare quei percorsi di pace, quella strada che mi dona il Signore. Quindi eccomi in cammino. Il fatto di essere cercatrice e di essere cercata mi fa chiarezza e mi racconta che non è ancora il tempo di fermarmi, ma di andare avanti con questo desiderio di mantenere vivo il cercare e il lasciarmi trovare.
Stiamo vivendo una trasparenza tra noi, che ci porta ad una conoscenza profonda, a pelle, e anche quando non sono presente, leggendo i resoconti mi sembra di potervi riconoscere. Oggi che sono riuscita a venire quello che mi è rimasto dentro è la frase: chiedo ospitalità nello spazio del mio silenzio interiore.
Questo silenzio mi ha scosso e fatalità questa settimana le prime letture parlavano di Elia, e raccontano il suo scoprire Dio nel silenzio. Siamo abituati a tanti terremoti nella vita a cui dare risposte, e il silenzio è l’unico fenomeno che conosciamo che sembra non avere utilità. Invece ne ha tantissima, perché solo facendo silenzio posso riappropriarmi della mia libertà. Libertà, che fuori nei confronti delle persone che mi circondano è moto stretta, nl senso delle cose da fare per il bene altrui. In questo periodo poi sono stata moralmente ferita e tradita in una relazione, che tutta ad un tratto si è conclusa senza neanche una spiegazione, e questo mi ha mandato in tilt e mi domando: fai tanto per costruire e poi basta un niente per finire tutto, per rompere. Oggi forse siamo abituati a vivere a spot, in questo momento mi servi e ti uso, poi non mi servi e basta, ti butto. Questo mi ha fatto male e mi lascia il cuore ferito, a pezzi, ma ritornando in quel silenzio, non mi sento ferita, trovo accoglienza, quella che nella relazione che ho vissuta sembrava esserci ma in effetti poi non c’era. E la voce di Dio nel silenzio mi dice: ritorna sui tuoi passi, ritorna a me. Qui ritrovo il valore delle parole, quelle che senza il silenzio invece butti là e restano senza valore. Sono parole che ingannano, che feriscono e ti sfiniscono. Ma nel silenzio colgo cosa nuove. Sono parole essenziali. Il silenzio è un bene, infatti siamo nati nel silenzio. Chi ha fatto grandi cose lo ha fatto partendo dal silenzio. Chi si tuffa, chi crea qualcosa lo fa sempre nel silenzio.. quindi le parole che nascono nel silenzio, hanno una profondità e raggiungono il cuore, le altre rimangono in superficie. Anche Dio non dà spiegazioni, ma è presente, mi dice: sono qua e il mio sentirmi viva non cerca spiegazioni. Per questo posso, sento di poter essere una Parola Vera per gli altri. Anche oggi è bella la Parola di Dio sul seme… il seme germoglia e cresce come chi l’ha seminato non lo sa. E così è la presenza di Dio in noi, appena gli dai spazio, fai silenzio la sua presenza ti invade e comincia a crescere. E così nella vecchiaia darà ancora frutto e sarà vegeto e rigoglioso… questo è consolante!
Stamattina nella liturgia della parola sul seme mi ha colpito: dorma o vegli. Questo dormire lo assoggetto a quando comincio a dirmi: se cambiasse quella cosa, se succedesse…se… il vegliare si manifesta invece quando faccio tante cose senza il Signore … e nonostante tutto vedo che il seme cresce. Il passaggio che ho vissuto dopo pasqua è stato quello di dire no allo scoraggiamento, di porre attenzione ai segni che Dio mi sta ponendo, di ricollocarmi in una vita che alcune volte non mi dà l’amore che desidero ma nonostante tutto mi fa portatrice d’amore. Ora in questo seme che cresce vedo il passaggio da quando voglio fare e non lascio spazio a Dio non trovo, mentre quando mollo succede qualcosa di nuovo: ultimamente mi sento cercata, qualcuno vuole il mio aiuto. Questo mi porta a custodire la persona, e mi sento pronta a raccontare la mia fragilità, per dirle: ne puoi uscire anche tu. Per questo sento di scrivere sul cuore la parola fragilità ma in maniera positiva nel senso che oggi la posso narrare come un passaggio di vita che si può accogliere senza rimanerne schiacciati. E infine sento belle queste parole: lasciati portare fuori dallo spazio ordinario che già conosci bene per entrare nello spazio dove ci sono io: Il mio sogno è prendermi giorni per fare gli esercizi spirituali.
Ho vissuto un anno tosto soprattutto a livello lavorativo, e questa settimana è stato il culmine. Se non avessi già iniziato a sintonizzarmi con Dio grazie all’incontro dell’altra volta, e a un dialogo con Maddalena, non ne sarei uscita così serenamente. Sono stata ferita ma non mortalmente. Per questo sono grata a Dio di avervi incontrate e mi dispiace di essere partita così tardi. Non solo per non essere ferita, ma per poter essere quel dono per gli altri che sento nella mia natura. Qui ho ritrovato un perché, un modo, tante cose ma sono solo all’inizio. Il bello che ho scoperto è questo lasciare le mie fissazioni, quelle cose che nascono dal non silenzio, che fanno male e distruggono, per sintonizzarmi con Lui. Bastano quei 10 minuti di preghiera per sintonizzarmi e quando entro in sintonia con Lui, sento di lasciare che le cose fluiscono, senza essere io che a tutti i costi ci metto il naso, trovandomi poi a sera distrutta nel polverone delle tante cose fatte. Imparare a ricevere, chiedere aiuto, sono cose di cui sento il bisogno, che ho riscoperto e ritrovato anche nella nostalgia che sento dentro di me, che è il campanello che mi dice quali sono le cose che veramente contano. La strada che faccio per salire quassù è carica di quel desiderio di venire e stare. Anche il mio bambino lo sente, perché è da lunedì che mi chiede quando saliamo quassù. I bambini sentono questa positività e così poi ce la portiamo a casa. Mi porto a casa la consapevolezza che il bene c’è. Il nome sintonizzata, è il mio impegno, perché desidero sintonizzarmi con Lui, per non cadere in quelle rete di debolezze umane. Questo mi permette di restare un gradino sopra queste cose, non sopra gli altri, ma sopra quel chiacchiericcio inutile, sopra le mie idee che poi si traducono in tentativi spesso inutili di risolvere le cose, che poi distruggono e infangano. È un salire sopra l’albero come Zaccheo per non lasciarmi trascinare dalla folla e lasciarmi invece da Lui amare, per poi dare qualcosa agli altri. È un desiderio, non solo l’impegno quello di sintonizzarmi, restare sintonizzata con Dio, per trovare quella profondità che non mi fa cadere nei tentativi inutili di mettere le cose a posto. Per questo il salire sopra a questi modi di fare che tutti abbiamo, non è per superiorità, anzi vorrei portare su anche gli altri per vivere rapporti più autentici, conseguenza di questo lasciarmi e lasciarsi amare.
Se crediamo che Dio si sta occupando di noi forse ci viene chiesto di avere un altro sguardo per conoscere un’altra strada. Rimettiti in cammino per cercare ancora… il nostro è sempre un cammino, un voler cercare un’altra strada, senza sapere cosa ci fa bene. Ma questa strada la posso trovare quando mi sento amata e mi amo. Sono due cose che non possono andare staccate. Quando mi alzo mi chiedo: io in questo momento mi sto volendo bene, mi sto amando? È una domanda importante perché se capisco che è quello che io voglio veramente fare, non mi porta verso l’altra strada che mi lascia incerta. Allora devo fermarmi per ascoltare cosa vuol dire volermi bene e sentirmi amata. Devo partire da qua. Anche quando ci troviamo una volta alla settimana per condividere il vangelo, è questo fermarci su questa la strada, che ci aiuta a trovare e vedere che è possibile vivere meglio, che possiamo dare una dimensione diversa a quello che noi facciamo. Poi ognuna di noi torna nelle proprie case, quello che ci portiamo a casa anche se è solo una minima parte di quello che abbiamo condiviso, permette di vivere meglio e di conseguenza sta meglio anche chi ti sta accanto. Oggi la società, il mondo va e gira in maniera totalmente diversa. Ma qui è il passo importante da fare, fare delle scelte per non restare nel modo che fanno di tutti. Bisogna stare dentro di noi in rapporto con Lui. Non ho trovato ancora la parola perché devo sintonizzarmi e sintetizzare questo che sento oggi…su questo volermi bene e sentirmi amata.
Per quanto riguarda la carezza, mi ritorna in mente il miracolo del lebbroso… e la carezza viene quando la persona le parole non ci sono più… quando la persona che te la dà non ha più parole, oppure quando tu stessa non hai più parole davanti a chi sta soffrendo. In quel momento le parole non potrebbero più dire niente e la carezza parla per sé, è potente, dice più di molte parole. Certe carezze che riesci a dare e che ricevi ti restano per tutta la vita.
Questo è il mio primo incontro e spero di poter venire ancora. Ho incontrato gente bellissima, e ho vissuto momenti speciali. Io sono lontana dai miei familiari e qui ho trovato un atmosfera speciale, dove tutti si vogliono bene tra di loro. Per questo la parola che io vorrei scrivere è amica, perché mi sono sentita amica di tutti voi. La parola su cui mi sono fermata è la parola felicità, perché è una parola che uso poco. Sono felice, ma non uso questa parola: ho una bella famiglia, mi sento completa, un marito, un bambino meraviglioso… e per questo vorrei impegnarmi più spesso a riconoscere questa felicità che già vivo. A volte non uso questa parola perché penso alla felicità come un livello massimo da raggiungere, e quindi è come aspettassi di arrivare a quel livello per essere felice. Ma non è così, perché quello che mi rende felice oggi va riconosciuto e dovrebbe rendermi felice anche domani.
Arriva la stagione, il tempo della vita in cui devi imparare a mendicare. Sembra una cosa non bella, non facile da fare e da vivere, perché tutti noi vorremmo essere autosufficienti per non avere bisogno degli altri. Ma va riconosciuto che questo voler fare sempre da soli ci allontana dagli altri, anche da quelli in cui ci stanno donando gratuitamente qualcosa. Per imparare a mendicare, a riconoscere quei tempi in cui abbiamo bisogno di ricevere, bisogna prepararsi per essere grati quando qualcuno ha cura di noi. Altrimenti, quando arriva quel tempo invece di essere grati di ricevere, diventiamo arrabbiati con il mondo, con Dio, con chi ci sta vicino. Non solo il dare è importante, perché quello a volte ci gratifica, il ricevere diventa importante perché è un arrendersi a quello che succede nella vita, senza voler continuare a gestirla e programmarla come vorremmo noi.
Ci sono delle situazioni esterne della vita che mi fanno male, che bloccano il mio procedere in avanti, che calunniano il mio modo di tentare di dare vita a questo luogo. La mia reazione normale di difendermi sarebbe quello di attaccare a mia volta, ma oggi più che mai sento la chiamata da quel Dio che mi abita a diventare pacificata. Non occorre che io faccia qualcosa, non occorre che mi dia da fare per fermare le calunnie, ma posso decidermi che non occupino lo spazio del mio cuore. È un lasciare quelle lotte sterili per avere giustizia che mi lasciano dentro solo tanta rabbia. Ed è questo nome nuovo che Dio mi sta donando che fa del mio cuore il suo cielo, il luogo del mio, del nostro riposo. Sono belli questi momenti pacificati che vivo, che viviamo e li riconosco come mia resa alla grazia di Dio.
INCONTRO 20 MAGGIO 2018:
PENTECOSTE: IL NOSTRO VIAGGIO DAI TUONI, DAL VENTO IMPETUOSO AL SOFFIO LEGGERO...
Abbiamo perso la verità su noi stesse, e per sapere chi siamo ci affidiamo alcune volte a voci improbabili e illusorie. Dentro la parte più intima di noi è presente una voce sottile, un sussurro leggero, che ripete al ritmo del nostro cuore, il nostro nome, la nostra verità più profonda.
Nei nostri viaggi altrove, alla ricerca di voci suonanti, che ci diano risposte soddisfacenti, questa voce silenziosa, questa presenza discreta e paziente rimane a casa ad attenderci.
È per questo, che il nostro viaggio non finisce mai e ci troviamo per strada tra l’agitazione del cuore e ricerca di nuovi sentieri. Sentieri che premono dentro di noi, provocati da quella nostalgia che ci chiama e non ci lascia ferme nell’illusione di aver trovato, o in quel realismo che blocca ogni ripartenza. Certo bisogna allenarci a frequentare il nostro vuoto, quella nostra solitudine che reclama a volte più un riconoscimento che ci porta a desiderare di essere apprezzate più che di essere guarite.
Gesù risorto, Spirito di vita
dove mi lascio guardare in questo mio bisogno di riconoscimento che deve essere liberato.
Quindi partiamo per questo discesa dentro di noi per accogliere la Tua presenza che ci sta aspettando, lasciando per un momento la preoccupazione per gli altri, quella tentazione di trovare delle soluzioni per chi amiamo e per cosa pensiamo bene per loro. Per curare i nostri rapporti con gli altri è necessario assumere coraggiosamente il mistero della nostra solitudine. Una solitudine che chiede di passare attraverso il primo frastuono e confusione che sentiamo e troviamo quando scendiamo dentro di noi, ma se lasciamo la paura di non farcela, possiamo poi ascoltare riconoscenti, quella voce sottile che pronunciando il nostro nome ci dona di trovare quella pace che poi ci aiuta a dare pace agli altri.
RISONANZE DOPO AVER FATTO IL PERCORSO: TRACCE DI CIELO
Mi sembravano le dieci regole d’oro per vivere bene. Bisognerebbe fermarsi ad ogni cartello per scavare dentro, per togliere quella crosta che non riesco a grattare bene per andare in profondità. Per fare questo devo anche volermi più bene. Quando impari ad amarti, o meglio quando ci sentiamo amate tutto può succedere…ma cosa vuol dire sentirsi amate? Ognuno lo vive in maniera diversa. Ma se partiamo da questo sentirci amate si può imparare a volerci più bene, per quello che siamo, per la vita che abbiamo fatto, senza sentirci egoiste, cattive, senza giudizi che ci vengono dettati dall’educazione che abbiamo ricevuto. Quanto importante sentirci amate per volerci più bene. Partire bisogna… mi sembrava che ogni cartello mi desse una botta in testa… boh… e adesso… ti muovono queste frasi… ti toccano dentro e servono per buttare via quello spessore accumulato di anno in anno e veder con occhi diversi. Magari le strade già tracciate c’erano anche prima e io non le ho volute vedere. Anche quel uomo che è passato oggi accanto a noi, passava con delle cose pesanti nel cuore e non sapeva di trovare. Ma lungo la strada ha trovato un posto dove dissetarsi, sfamarsi, fare quattro parole. Ha trovato qualcuno che lo ha accolto… era una strada già segnata per lui per sostare, e per noi che l’abbiamo accolto.
Tronchi a cerchio, vicini
lasciano spazio all’armonia rotonda
Inizio che sa di infinito
un continuo generare.
Alle spalle una croce di legno
Come alba che accoglie il tramonto nel suo divenire.
Il soffio accarezza quel tronco
e passa oltre al di là del conosciuto.
TRACCIA per l'INCONTRO DONNE del 22 APRILE 2018
La parola di Dio che ci viene proposta in questo tempo dopo la festa di Pasqua, ci chiede di acquisire una profonda libertà verso noi stessi e verso gli altri. Per questo è un tempo privilegiato per mettere meglio a fuoco quali sono le voci e le autorità da cui ci lasciamo ogni giorno guidare. Molte volte abbiamo l’impressione di essere molto obbedienti nella vita di tutti i giorni, consumandoci e impegnandoci in tante cose che, in realtà, diventano un po’ alla volta forme di idolatria che ci rendono schiave. Siamo partite dalle necessità cui rispondere, delle urgenze ed emergenze cui far fronte e siamo arrivate a rendere padroni della nostra vita cose non essenziali, strumenti che da utili diventano capaci di strumentalizzarci, affetti che ci legano in modo sbagliato… Risorgere con Cristo significa verificare se ciò a cui stiamo vincolando la nostra libertà sia realmente qualcosa che Dio ci ha chiesto e non piuttosto un ideale di perfezione e di coerenza, che stiamo faticosamente tentando di conquistare.
Il salmo 135 ci invita a ripercorrere la nostra storia, per vedere quali sono state veramente esperienze di liberazione. Il far memoria ci permette di dare senso agli eventi come parte di un discorso di Dio, della tenerezza, dell’amore, del perdono con cui ha accompagnato la nostra vita.
E’ una lunga litania che canta: eterna è la tua misericordia… il tuo amore, la tua tenerezza… che pervade tutti i passi della storia di un popolo in cammino. Ma quel popolo non è lontano, quell’Israele sono io, è la mia famiglia, la mia comunità ecc... E’ un tornare con la memoria del cuore dentro a quei fatti, che solo dopo ci rivelano un amore grande, che non ci ha lasciati in preda a quelle passioni che ci fanno tenere prigioniere delle nostre attese, bisogni e meriti acquisiti. È solo la memoria del cuore che ci permette di accettare anche quelle parti incompiute di noi stesse, perché avvolte dalle sue viscere di misericordia.
Salmo 135 1Rendete grazie al Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia. 2Rendete grazie al Dio degli dèi, perché eterna è la sua misericordia. 3Rendete grazie al Signore dei signori, perché eterna è la sua misericordia. 4Lui solo ha compiuto grandi meraviglie, perché eterna è la sua misericordia. 5Ha creato i cieli con sapienza, perché eterna è la sua misericordia. 6Ha disteso la terra sulle acque, perché eterna è la sua misericordia. 7Ha fatto le grandi luci, perché eterna è la sua misericordia. 8Il sole, per governare il giorno, perché eterna è la sua misericordia. 9La luna e le stelle, per governare la notte, perché eterna è la sua misericordia. 10Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti, perché eterna è la sua misericordia. 11Da quella terra fece uscire Israele, perché eterna è la sua misericordia. 12Con mano potente e braccio teso, perché eterna è la sua misericordia. 13Divise il Mar Rosso in due parti, perché eterna è la sua misericordia. |
14In mezzo fece passare Israele, perché eterna è la sua misericordia. 15Vi travolse il faraone e il suo esercito, perché eterna è la sua misericordia. 16Guidò il suo popolo nel deserto, perché eterna è la sua misericordia. 17Colpì grandi sovrani, perché eterna è la sua misericordia. 18Uccise sovrani potenti, perché eterna è la sua misericordia. 19Seon, re degli Amorrei, perché eterna è la sua misericordia. 20Og, re di Basan, perché eterna è la sua misericordia. 21Diede in eredità la loro terra, perché eterna è la sua misericordia. 22In eredità a Israele suo servo, perché eterna è la sua misericordia. 23Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché eterna è la sua misericordia. 24Ci ha liberati dai nostri avversari, perché eterna è la sua misericordia. 25Egli dà il cibo a ogni vivente, perché eterna è la sua misericordia. 26 Lodate il Dio del cielo, perché il suo amore E’ SEMPRE! |
ALCUNE DOMANDE PER RIFLETTERE:
Un mare che mi si para davanti e mi impedisce di procedere. Mi fermo davanti a questo mare e comincio a darci un nome…
Divise il Mar Rosso in due parti…
Ecco il passaggio… una strada in mezzo al mare si apre... posso passare … Vedo questo due parti: mi trovo davanti a questo passaggio di liberazione e corro il rischio di non passare perché in fondo mi dico che è tutto un mare. Non distinguere, non riconoscere che ci sono due parti, lasciarmi condurre dalla testa che dice: fa lo stesso, una cosa vale l’altra, non importa…mi impedisce di scegliere. Sul più bello che tutto di me è pronto per vivere questa liberazione mi fermo…. A cosa do ascolto?
C’è oggi nella mia vita un Mosè che con la sua solidità mi dice di fidarmi…? Mi fido?
C’è stato qualcuno che ha diviso il mare che mi ha permesso di attraversare quella sofferenza, che altrimenti da sola ci sarei affogata dentro?
Mi sono fidata, mi sono arresa non alla paura ma alla fiducia. Posso dare un nome ad un evento in cui il dare fiducia mi ha permesso di vivere un passaggio che credevo insuperabile?
Vi travolse il faraone e il suo esercito:
Dietro sento un rumore pauroso che incalza… che mi raggiunge … sono armati, mi inseguono…. Chi sono?
Mi giro e tutti quei carri e cavalieri che mi inseguivano, quelli di cui sento ancora il fiato sul collo non ci sono più, o meglio li vedo morti. Che cosa è successo? Chi erano? Perché non hanno più questo potere su di me?
Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti
Questo figlio che per primo ha rotto, ha aperto il nostro utero (ci ha reso e ci ha fatto sentire feconde), è quello che oggi dobbiamo portare dentro questo mare per essere liberate. Il primogenito è una aspettativa continua. E’ diventato un nostro possesso, un idolo che ci incatena entrambi. Ora ci viene chiesto di lasciare che Dio lo colpisca, cioè che lo stacchi da noi. Quello che abbiamo sentito primogenito nella nostra vita perché ci ha reso feconde, rischia di farci entrare in quella sterilità, schiavitù perché è diventato il faraone della nostra vita a cui ci sottomettiamo.
Quanti doni sono diventati faraoni?
Quanti talenti, quante capacità che ho usato solo per me, nella ricerca frenetica della mia realizzazione?
Colpì grandi sovrani…
Se sono sovrani nella mia vita vuol dire che hanno preso spazio, tempo, respiro in me… Il Signore vuole colpire il bisogno che mi ha portato a lasciare spazio nella mia vita a queste persone o fatti che mi hanno invaso la vita, l’hanno occupata, l’hanno diretta secondo scopi e fini personali.
Quale gancio sto ancora offrendo a questi sovrani che mi tolgono spazio vitale, non permettendo a Dio di colpirli perché io sono ancora attaccata a loro e Lui non vuole colpire anche me?
Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi
Lui non si dimentica mai di noi, solo che viene a noi quando noi ne abbiamo bisogno. Chi è piena di se stessa non se ne fa niente di un Dio misericordioso. Dio vuole liberarci dalla condanna di un’esistenza tutta concentrata su noi stesse. Dio vuole svuotare il nostro cuore dai sensi di colpa, dovuti alla rincorsa della nostra immagine di perfezione, per colmarlo della gioia di essere salvate.
Perché facciamo di tutto per mostrare la nostra bravura, quando l’annuncio che raggiunge il cuore degli altri è quello di saper narrare il nostro fallimento, le nostre fragilità senza averne più vergogna?
Egli dà il cibo a ogni vivente
Il vivente è colui che accoglie il Veniente. C’è solo un altro modo per assaporare la vita, accogliere Lui, mangiare la sua parola come nostro cibo per compiere il tragitto dalla pancia al cuore. Solo così riusciremo a diventare sensibili alle piccole occasioni quotidiane di cui i nostri giorni sono ricolmi. Senza lasciarci prendere dalla paura che ci venga chiesto più di quello, o di perdere quello che abbiamo in tasca. È fidarci che ogni giorno Lui che si riversa in noi con la sua misericordia, ci permette trovare dentro le nostre piccole tasche, ancora un po' di più di amore.