Domenica 9 giugno 2019

Solennità di Pentecoste. Anno C

Gv 14, 15-16.23b-26

               

«15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

RIMANETE NEL MIO AMORE

Il dono dello Spirito Santo è una scelta di fede e di vita.

Lo invochiamo per un semplice motivo, non abbiamo altre alternative. Altrimenti la vita e la fede procedono per il binario morto che conduce all’infelicità.

Gente infelice attorno a noi, fuori e dentro la chiesa, invoca l’unità come adesione ad un unico linguaggio condiviso e codificato. E’ il procedimento di coesione sociale che sta alla base di ogni società, di ogni scelta politica ed economica, delle strutture religiose…

Gente infelice ci guarda con sospetto, paurosi che qualcosa di diverso da questo procedimento che con fatica hanno messo in atto, possa scompaginare questa strada di unità. E’ triste nel cuore perché ha fatto molta fatica a mettere in atto questo meccanismo di adesione e uniformazione, pensando di fare un servizio al bene comune, della società e della chiesa. E siccome questa fatica non corrisponde alle loro aspirazioni più profonde, che continuano a premere nel loro cuore, si arrabbiano, non sanno riconoscerle in se stesse e le combattono negli altri.

Invocare lo Spirito è il grido del povero, dell’incastrato nei meccanismi sociali, di chi si sente risucchiare dall’infelicità di chi ha il potere e dall’altra parte ascolta la voce di Gesù che lo invita con dolce richiamo: felici i poveri, proprio voi che non volete costruire Babele, la globalizzazione del culto e della verità.

La risposta che viene da Gesù è: rimanete nell’amore.

Non potete rispondere alla pressione violenta di uniformazione che viene dal paternalismo clericale, sarebbe come entrare in questo circolo vizioso. Continuate a vivere invece la circolarità che vi fa nascere all’ascolto dell’altro, del maschile e femminile, e non prendete paura se sembra girare in una rotonda, senza trovare qualcuno che apra una via di uscita.

Rimanere nell’amore è già cosa grande. E’ luce che si accende in questa notte di chiesa del controllo e del sospetto. Sembra che lo Spirito ci faccia girare a vuoto, ma è un attraversare la notte da sentinella, come chi attende una primavera nella chiesa e sa accoglierla nel dono dello Spirito oggi. E’ lui che in-segna, traccia strade nel cuore, è lui che ri-corda, lega il cuore ad un amore che non può essere livellato da aspettative di unità malate.

Essere schiavi di quello che non viene dallo Spirito rende più soli e più tristi, aderire a quello che ci dona il fuoco dello Spirito trasforma la vita, ci rinnova senza più paura della nostra povertà, senza più nascondere quelle debolezze che ci rendono capaci di dire NOI senza pretendere di controllare il processo vitale in atto, solo rimanere nel SUO amore.

sogno

 

Domenica 2 giugno 2019

Ascensione di Gesù. Anno C

Lc 24, 46-53

 

«Gesù disse loro: Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto.50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio».

Si può vivere la fede senza la parrocchia?

Questo, se vogliamo, il senso dello sguardo stupito dei discepoli al cielo tradotto al giorno d’oggi. Infatti i discepoli domandano a Gesù se ha trovato il modo di restaurare il regno d’Israele, cioè l’organizzazione ecclesiale di allora. I tempi e i modi non sono quelli che avete stabilito voi, dice Gesù, ma avrete forza dallo Spirito Santo e sarete miei testimoni.

Sembrano rispondere i discepoli, di ieri e di oggi: “Ma noi abbiamo organizzato la testimonianza in un tempio, con dei riti, delle modalità aggregative che raggiungono ragazzi e giovani (catechismo, grest, camposcuola…), fanno un servizio alle giovani famiglie (asilo), aiutano gli anziani a stare insieme (rosario), come faremmo senza di questo? Non dobbiamo perderlo!!”

Il mistero dell’ascensione è proprio questo entrare in uno spazio diverso, come attraversare a piedi la notte, fidandosi del sentiero sotto i piedi. E così prendere confidenza non con un tempio di muratura, dei segni esteriori, ma con il tempio che sono io. Ed è una felicità sprofondare in questa presenza nuova che non fa più riferimento a riti e segni esteriori. Io sono il tempio di Dio: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1Cor 3, 16). Con l’avventura terrena di Gesù, dall’incarnazione all’ascensione, non possiamo più separare l’umanità e Dio.

Lasciarci istruire dallo Spirito è un chinarsi verso terra, è un diventare più umane, più donne e uomini. Scoprirsi col passare degli anni sempre più appassionate di tutto ciò che è viviamo, apprezzando la bellezza ordinaria delle cose di tutti e di tutti i giorni. Il principale e forse unico segno che la vita spirituale sta fiorendo e portando frutti è diventare più capaci di umanità. Diventiamo capaci di vita spirituale quando sappiamo parlare soprattutto della vita della gente, degli amori e dei dolori della condizione umana.

Sì, oggi se vogliamo fare esperienza di Dio, occorre vivere e frequentare un tempio tutto particolare. Diremmo un modo diverso di fare parrocchia. Non siamo noi a far andare avanti una struttura dove, per assurdo, non occorre la fede per esserci dentro. Ma è accorgersi di quella luce che abbiamo dentro che ci fa camminare insieme, senza la paura della notte, di perdere il controllo di quello che stiamo progettando, vivendo, costruendo assieme e attendere insieme il dono dello Spirito.

 

senza parrocchie

 

Domenica 19 e 26 maggio 2019

V e VI domenica del Tempo di Pasqua. Anno C

USCIRE PER NON TRADIRE

 

arcoContinuo la riflessione sulla chiesa degli Atti iniziata domenica scorsa. Oggi ritorniamo a leggere con attenzione Atti 11-12, spostiamo il focus dalla chiesa a Pietro, dalla comunità con le sue gelosie e aperture all’autorità nel momento fondamentale della sua conversione dalla religiosità all’annuncio.

Sono stimolato da questa lettura degli Atti che sono Vangelo, annuncio di come concretamente lo Spirito stravolge le nostre abitudini e fa ripartire gli uomini di chiesa. Gli indizi che pone Luca sono precisi e sono opachi se nella nostra mente vogliamo giustificare la politica ecclesiastica, mentre illuminano la vita quando li consideriamo Vangelo capace di rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili.

Infatti viviamo in una piccola porzione di chiesa e a volte ci sentiamo in colpa di disattendere le aspettative della parrocchia o della Diocesi come se fosse un tradimento, un fuggire, un abbandonare il servizio promesso con il matrimonio o la consacrazione. Invece la chiesa riscopre se stessa proprio nella varietà di espressioni che sono molto più grandi dei modi consueti di fare (che chiamiamo pastorale, ma dice papa Francesco, non facciamone l’ottavo sacramento!) e delle tradizioni.

Questa riscoperta la chiamo il MOVIMENTO DI PIETRO, che il Nuovo Testamento descrive con il numero tre, sottolineatura di una cosa “straimportante”.

Tre volte rinnega Gesù, tre volte Gesù in Gv 21 gli domanda mi ami e tre volte in Atti 12 esce dalla prigione e tre volte bussa alla porta della chiesa nascente.

Dentro questo movimento c’è la chiesa, sempre presente con una figura particolare: LA SERVA.

Gesù annuncia sono venuto per servire, ma aggiunge chi di voi è il primo sia il servo di tutti, e in questo il riferimento a Pietro è chiaro. E’ che non funziona senza la presenza della serva (ha guardato all’umiltà della sua serva…) cioè di un modo di essere chiesa non istituzionale.

Già in Marco 1,29-31 c’è questo stranissimo secondo miracolo di Gesù che gli esegeti interpretano come indizio dell’evangelista sulla chiesa: siamo in casa di Pietro (la comunità cristiana) è con la febbre (fissa, bloccata) Gesù la alza (la suocera) e si mise a servirli (la serva). C’è un alzarsi per uscire, dalla malattia che trattiene sulle difensive, nelle tradizioni, nella fatica mentale di cambiare qualcosa, dalle sicurezze psicologiche di essere tra i soliti che si capiscono…

Questo è il movimento di Pietro che più volte si ripete, perché non funziona quando hai capito, ma quando sei partito fisicamente. Come se l’autorità sa bene di essere a servizio, ma lo scopre nel concreto solo quando una serva glielo rivela: “anche tu sei con il Nazareno!”.

Da quale prigione Pietro esce? Da cosa si alza? Dall’appiattimento che noi chiamiamo unità e invece è tradimento di Cristo. La mia pace non è quella che vi dà il mondo, cioè gli equilibri di potere, dei ruoli. Ecco la serva che svela il tradimento di Pietro e poi riappare in Atti 12,13 in compagnia della madre Maria, la mamma di Marco l’evangelista e si chiama… Rosetta, anzi Rosy (nome greco che per noi sarebbe diminutivo all’inglese…). Per tre volte non apre la porta a Pietro!!!

Non ci crede che sia venuto da loro invece di andare al tempio come al solito ad annunciare di essere stato liberato (vedi Atti 5,19-21).

La chiesa che prega per lui non ci sperava proprio in questa conversione, è chiaro che gli anziani a Pietro gli hanno fatto un brutto scherzo, giocare alla politica lasciandolo solo in prigione. E questa non gliela perdonerà più.

Così va a bussare da chi gli voleva bene, ma non erano quelli della tradizione. Erano quelli in famiglia, senza il tempio con i suoi sacrifici, dove Gesù stesso lo ha mandato per ritrovare il vero volto del Servo, diverso da quello sempre in agguato del potere.

E sembra impossibile che il movimento di cambiamento di Pietro avviene ogni volta che un’autorità bussa alla porta della famiglia che prega: uscendo dalle sicurezze e trovando quel semplice servizio che rivela il tradimento del successo e del denaro.

In questo movimento la chiesa si rigenera come ai tempi di san Francesco e continua a ritrovare quella piccola serva che libera dal carcere della fissità mentale di aderire ad un culto fisso, apre strade nuove all’annuncio.

 

Domenica 12 maggio 2019

IV domenica del Tempo di Pasqua. Anno C

At 13, 14.43-52   Gv 10, 27-30

 

Vi leggete con calma tutto il capitolo 13 degli Atti degli Apostoli…

La Bibbia parla che ci sono dei padri da abbandonare, quelli biologici per costruirsi una nuova famiglia, quelli spirituali per progredire oltre il gesto creativo che loro hanno vissuto.
Ogni figlio che rimane in casa non genera vita.
Ogni credente che riproduce la fede dei padri, ma non crede che Dio si fida di lui per compiere opere più grandi nella realtà di oggi, affonda nella sterilità.

Come una comunità affonda nella sterilità? Lo descrive gli Atti: l’invidia e la gelosia che crea un atteggiamento che immiserisce le aspettative dell’uomo e delle chiese al punto di non credersi degni della vita eterna. Quando un credente va a finir male senza accorgersi? Quando è incapace di lasciare quel modo che lo ha generato alla fede, i padri spirituali, per aprirsi l’annuncio sconvolgente del Cristo per oggi.
E’ vero non ci accorgiamo, è tutto normale dentro la sinagoga, finchè non arriva l’annuncio di una vita che si allarga e ci si accorge quanto ristretti eravamo. E’ l’annuncio di Cristo risorto, la grandezza del dono della vita eterna. Ad esso si oppongono le persone pie:
nella logica giustificate dal fatto che Dio avesse risuscitato proprio un condannato a morte infame, ma è proprio bisogno di accettare una cosa del genere?
nel cuore condannate dal loro attaccamento ad un ruolo consolidato e fondato sul consenso.

Era necessario, deve avvenire questo movimento di divisione, di contrasto, di rivalsa… per svelare i pensieri del cuore, giustificati dalla fatica di cambiare linguaggio, modo di esprimere la fede. Il risorto continua a sconvolgere oggi anche le nostre espressioni di chiesa. La persona pia non mette in discussione il suo modo di esprimere quella fede che lo ha generato come comunità. Si giustifica per il fatto che gli è costato molto essere fedele finora, ed è vero, ma così nasconde la paura di perdere le sicurezze che ha trovato in QUEL modo di fare comunità, condannandosi ad una sterilità, una incapacità di nuovo annuncio…

Gli evangelizzatori aprono gli occhi: ci rivolgiamo ai pagani. Niente di nuovo, in quella sinagoga multiculturale c’erano già i pagani (proseliti) credenti in Dio, ma questo contrasto fa diventare alternativo quello che era compatibile. Per lo stesso motivo che la permanenza del figlio nell’utero della madre è vitale fino a 9 mesi e poi diventa mortale. Perché il generare credenti non vuol dire farli a propria immagine e somiglianza. Purtroppo, senza accorgersene, ogni comunità finisce per non ritenersi degna della vita eterna, in quanto troppo impegnata in posti di potere da mantenere, che fanno crescere la piaga infetta della gelosia e dell’invidia.
Per questo portare la salvezza all’estremità della terra, è il contrario di pensarsi padri e padroni di quella fede che Dio ha suscitato nella comunità.

Chi fa il servizio di evangelizzare si trova dalla parte del perseguitato per rimanere fuori del circuito del riconoscimento e poter con libertà, magari quelle tre volte in vita, partire sbattendo la polvere dei piedi e lasciando il posto occupato da chi continua a chiamarsi credente, avendo rinunciato a credere nella vita più grande.
Ad esso Isaia 49,6 continua ad annunciare: è troppo poco che tu porti la salvezza al popolo d’Israele, in questa persecuzione l’annuncio del risorto arriverà ai confini della terra.

 

HOR

 

 

Domenica 5 maggio 2019

III domenica del Tempo di Pasqua. Anno C

Gv 21, 1-19

 

lagogufo3«1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano acorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No».6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare.8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

 

L’annuncio del risorto è questione di amore e di due. Comincia con il discepolo che Gesù amava che lo indica a Pietro. Non ci arrivi mai da solo a riconoscere il risorto nella tua vita, nasce nella dinamica della coppia, del vedere con occhi diversi la stessa cosa, a partire da un amore (addolorato, perché vissuto in un passaggio particolare, anche nella delusione).

Quello stesso amore che Gesù rappresenta agli occhi di Pietro con la triplice richiesta di amore, una tenera domanda, un’espressione di bisogno che rende Gesù dipendente dalla risposta di Pietro, e che si conclude con la scenetta del vecchio che si fa vestire, per sottolineare il collegamento tra Pietro che si butta in acqua con la veste cinta (per servire, come nella lavanda dei piedi) e Pietro che chiede amore (per accogliere ed essere accolto, in una dinamica di resurrezione, dove tendi le mani e sei portato, innalzato verso quello che non conosci).

L’annuncio del risorto è questione di chiamata per tutti. E’ Gesù che con la voce di Pietro raduna tutta la chiesa (i 7 discepoli) che con le mani, le reti e la fatica dei discepoli raccoglie tutta l’umanità (153 pesci). E’ la voce del Risorto che chiama a fare le solite cose con uno spirito diverso, mettendoci un gusto nuovo, riscoprendo un gioia semplice di stare insieme, di sentire in questa chiamata un cibo offerto che sazia e dà senso alla vita. Offre ai tanti quel perdono di cui per primo ne fa esperienza Pietro e che viene offerto gratuitamente a tutti, compresi i capi del popolo che non lo accolgono.

L’annuncio del risorto è nella perseveranza di alcuni. I discepoli nel brano degli Atti degli Apostoli non sono preoccupati di convincere e “pescare” i molti all’incontro con Gesù, il piccolo gruppo non serve per elaborare strategie e tattiche di propaganda. Vive in uno spirito che è di per se stesso critica all’impostazione sociale nella quale viviamo, che si nutre di potere, di consenso… mentre la fraternità parte dal piccolo, come luogo dove parlarsi, trasformando gli oltraggi in letizia. Un modo nuovo che legge ogni ostacolo come un profondo solco che il Padre scava nell’umanità per farvi scorrere la linfa vitale dello Spirito, anche se il solco è fatto sulla tua schiena, sulla tua pelle.

Non è bello essere fraintesi e calunniati, ma rende ragione di quello di cui stiamo parlando, si tratta di qualcosa che Dio ha fatto nascere tra di noi, non è opera di uomini! La letizia viene dal contrasto che fa emergere il dono, tanto da far sbiadire ogni paura che nasce dall’opposizione ricevuta.

E’ nel dialogo dentro la fraternità che gustiamo il dono ricevuto non più come nostra intuizione, ma per conferma dello Spirito. Così il piccolo gruppo diventa capace di narrare l’oltraggio non per aver ragione sulla logica del potere, ma per dimostrare il coraggio di partire, quello stesso che manca a tanti, ma quando qualcuno parte tanti imparano a riconoscersi in questa narrazione, al punto che diventa storia sacra.