INCONTRO 4 MARZO 2018: QUARESIMA: UN TEMPO CHE CI VIENE DATO PER VIVERE COSA?

 

PREGHIERA INIZIALE:

Aprimi gli occhi, o Dio che io veda la tua tenerezza per me

Non permettere alla tristezza che ho accumulato

mi derubi il meglio che ho vissuto, per poi disperderlo.

Sono come una cieca, priva di luce, sanami, voglio vederti.

Apri il mio cuore o Dio, sono triste e chiusa in me stessa

donami fede o Dio, quando improvvisa scende la sera.

Lascio che il mio cuore ora per un po' dica basta,

ho bisogno solo del poco di una casa che mi ospiti, che mi riscaldi e conforti.

Resta con me, fammi restare unita a te mio Dio.

Voglio portarti in me come luce che rischiara le mie tenebre

Voglio portarti in me come ancora che salva nella tempesta

Voglio portarti in me come Amore che nell’amore e all’amore mi guida.

Voglio portarti in me come speranza che toglie l’ombra che m’invecchia il cuore.

Benedici ciascuna di noi, perché ri-posando noi stesse di nuovo in Te,

diventiamo spazio ospitale

che consenta ad ognuno di noi

di esporsi con le proprie fragilità

e sentire di poterle deporre in un luogo senza giudizio.

 

Quaresima: questi 40 giorni che ogni anno si ripresentano è un tempo che ci viene dato per vivere cosa?

40 indica una generazione, tutta una vita. il deserto richiama il luogo dove il popolo di Israele dalla libertà dalla schiavitù egiziana prima di entrare nella terra promessa, soggiornò per 40 anni. L’evangelista non ci sta presentando un periodo della vita di Gesù, ma ci sta dicendo che tutta la vita di Gesù è stata un cammino, una traversia nel deserto verso la pienezza della liberazione, che si è espressa nella scelta del dono totale di sè.

Anche a noi viene dato questo tempo: un tempo per vivere il nostro esodo, questo passaggio continuo da qualcosa che ci tiene schiave ad una liberazione. Ma non facendo gli straordinari in quaresima per sentirci più buone attraverso qualche rinuncia e pratica religiosa, una raccolta punti delle messe domenicali e delle preghiere fatte, ma come occasione per approfondire le ragioni della nostra relazione con Dio. Le stesse dinamiche ripetute all’infinito per propiziarci l’attenzione di Dio, ci fanno restare ferme a riva. Se deserto, tentazione, diavolo, ascesi prendono connotazioni moralistiche, andiamo talmente fuori strada da fare della nostra quaresima un tempo del dovere, della tristezza di eseguire qualcosa, per arginare malattie peggiori, per inseguire una nostra immagine di perfezione comportamentale, per propiziarci Dio. Ho fatto elemosina, digiuno, qualche preghiera in più quindi… sono a posto davanti a Dio e agli altri. 

 

Diamo un nome a questo esodo nel deserto che stiamo attraversando, perché non diventi fuga, né vagabondaggio, ma un cammino di libertà, un esodo dalla paura per quello che siamo e che troviamo dentro di noi. Diamo fiducia a quelle prime parole del decalogo che nella parola di oggi dicono: non avrai altro Dio oltre a me (Es 20,3), ovvero, non avere altro Dio se non un Dio di libertà, un Dio che ti strappa alla schiavitù. Chiediti: non se credi alla sua esistenza, ma se in te è un Dio vivo, che libera, o un idolo morto che assoggetta. A chi obbedisci nella vita? Chi suscita le tue passioni? In nome di chi ti metti in cammino? Dimmi con che Dio vai e ti dirò dove ti porta la strada imboccata! (Lidia Maggi)

Proviamo in questo tempo a ri-percorrere la nostra vita per farne un bilancio, per cogliere quante volte abbiamo consegnato il tempo, il cuore, l’affetto, i desideri e i sogni, a qualcuno o qualcosa che non poteva soddisfarli pienamente. E ce ne siamo accorti troppo tardi, al punto da restarci male perché questo qualcuno o qualcosa ci ha distolte dal cercare la felicità nel posto giusto (queste sono le bestie selvatiche).

Proviamo a ri-percorrere e dare un nome anche a quelle esperienze di incontro profondo, quando ci siamo sentite sfiorate da un tocco di vita, di tenerezza e amore, che ci ha permesso di procedere nel nostro quotidiano con una forza e slancio nuovi (angeli).

Viviamo tra queste spinte al male e controspinte al bene. Tra presenze che ci invogliano a vivere da testimoni, nella trasparenza di grazia ricevuta, e gente che con la loro furbizia e cattiveria, tentano di tirarci dentro al male presentato come un bene. Solo dando un nome, abbracciando, addomesticando – senza il bisogno di uccidere – i nostri mostri interiori, le nostre bestie selvatiche, possiamo fare esperienza di cielo.   “Fammi conoscere Signore le tue vie, guidami, istruiscimi…” sono espressioni che ci salgono alle labbra facendo esperienza sia di quanto grande sia la nostra fragilità. Essa a volte ci attanaglia al cuore tanto da desiderare di buttare via questa nostra umanità, altre volte ci porta a tacitare e spegnere tutto, nell’abbandono più totale, per portare agli altri la sua vita.

 

Chiediamo di vivere veramente una conversione, un cambiare mentalità, direzione. La partenza non sia però il sacrificarsi per gli altri, ma andare verso quella liberazione che avviene quando ti liberi dall’ombra triste del sacrificio, perché nessun sacrificio rende la vita più ricca e gioiosa. “Amore e misericordia voglio e non sacrifici”.  Non mi purifico facendo qualcosa per Dio, ma mi trovo purificata facendo con Dio e in Dio qualcosa per gli altri. Qualcosa di gratuito, non perché se lo meritano, non perché devo, ma perché do fiducia a quella parola di Dio che dice: c’è più gioia nel dare che nel ricevere.  Per questo chiedo di mettere l’altro al primo posto, anche davanti al mio sentire, al mio modo di controllare la vita. Che cosa me ne viene, che cosa ci guadagno? Niente, in termini di tornaconto personale. Perdo qualcosa di me, ma la ritrovo proprio nel mio donarmi, quando non mi attendo più qualcosa dall’altro, quando non dò perché ne ho un beneficio, ma è nell’atto stesso del donare sperimento gioia, libertà, bellezza…

Aprirsi all’altro ha un costo, non lascia le cose come prima. Vale per ogni relazione: l’irrompere di ciò che è altro, finisce per farci paura. Abbiamo i nostri equilibri e l’irruzione di un’alterità diventa sempre spiazzante. Ma se vivo questa apertura, questa gratuità ne provo gioia e mi trovo più forte, perché cresciuta nell’amore.

Confido in quella sua Parola che in maniera indelebile mette dentro in ciascuna di noi la certezza che esiste al fondo della nostra vita un bene. Non è più solo un raccapezzarsi e rimanere a galla, non è solo sopravvivere. Perché la fede è qualcosa di più profondo, è una vittoriosa certezza, che tutta la nostra vita è ricapitolata in questo bene. E non è più questione di sola consolazione, è incontrare Gesù che imprime questa certezza dentro di me.

Il vangelo di oggi termina dicendo che Lui che conosce quello che c’è dentro ciascuna di noi. Sa che siamo fragili canne al vento con le nostre superficialità, ombre, cadute, ansie, controlli, sciocchezze, richieste di un ritorno di quello che diamo, ma non ci permette di continuare a mercanteggiare, perché siamo suo tempio, luogo dove Lui può continuare a depositare quella parola che ci permette di lasciare tutto ciò che impedisce alla vita di fiorire.

 

RESOCONTO dell'INCONTRO

  • Io ho 40 anni e me ne accorgo solo ora. Mi resta nel cuore quella parola che dice: c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Quello che io vivo invece oggi a 40 anni, è che finalmente gusto gioia nel ricevere. È una fatica per me ricevere, ma mi sento sostenuta da Qualcuno nel fare questa fatica. Mi sento affidata, per questo ho mollato un pò del mio controllo e questo mi porta gioia. Voglio, desidero abbandonarmi a questa nuova esperienza che sto vivendo e che ho accettato di vivere.
  • Festeggio i miei 40 anni di matrimonio. Tempo prezioso che ora facendo memoria so ripercorrere e vedere come Dio mi ha accompagnato. Per questo mi lascio interrogare nuovamente: che Dio vivo è quello che è in me oggi? Posso rispondere che ora non mi ritrovo un Dio del dovere, ma bensì un Dio vivo! Proprio i momenti di fatica riletti - perché quando si vivono senti solo la fatica - li comprendo come momenti in cui ho sperimentato Dio come ancora di salvezza che mi solleva e mi porta oltre. Evidente in quel momento la sua luce, anche se la scopro solo dopo, quando torno con la memoria, e vedo questo suo accompagnamento. Ora quando un’altra fatica si presenta sono allenata, non esonerata dall’attraversarla, ma so che posso aggrapparmi a questo Dio che cammina in parte a me. Dio si fa vivo nel far memoria. Hai superato quella prova… ora sai che c’è, e lo vedi accanto a te proprio in quello che hai vissuto, sofferto, superato.
  • Ri-percorrere per fare un bilancio. Penso di avere dato molto del mio tempo ad ascoltare cose sbagliate, che hanno creato un nido in me, uccidendo la speranza che è Dio. Ho dato spazio alla morte, e non ho sentito più Dio vivo in me. Ho desiderato la morte. Dio vedendo che io non avevo altro spazio mi ha urlato il suo bene, ha aspettato, mi ha aspettato. E il suo urlo mi è giunto proprio attraverso una voce di una bambina celebrolesa che mi ha aperto gli occhi facendomi distinguere saggiamente le mie azioni dalla mia identità, dal mio essere, dalla mia persona. Mi accorgo che sto ammazzando quel Dio che continua ad amarmi dando voce invece a quelle del disamore. Eppure i suoi angioletti arrivano anche attraverso la voce di una bambina celebrolesa che sa farmi intravedere qualcosa di me, che io non so più vedere, proprio perché mi sono lasciata invadere da voci di dis-amore.
  • Oggi mi risuona questa preghiera: apri il cuore mio… lascio che il mio cuore per un po' dica basta…. Voglio, desidero fare spazio a questa parola, perché presa dal fare, dai bisogni degli altri, dalle responsabilità mi svuoto. Quello che faccio lo faccio proprio con gratuità, ma questo non impedisce di sentire che ci stò male quando non viene riconosciuto. Quindi ci vuole il tempo anche per immergere nuovamente il mio fare con la sua misericordia e amore. Anche se bisogna imparare come dice Sant’Agostino “Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre."

Per questo bisogna sia dare, fare, ma anche aspettare, per trovare pace dentro anche in quello che faccio. I pesi che gli altri ci mettono addosso, dobbiamo saperli calibrare sulle nostre spalle, perché non possono toglierci la pace.  Solo se sei pace puoi portare poi la pace agli altri. E’ la pace che viene nel fare le cose con Dio e in Dio.

  • Amare è promuovere l’altro non imprigionarlo. Amare è accettare la promozione di chi mi vive accanto, è dare lo spazio all’altro perché possa esprimere il meglio di sé.
  • Quaresima per me oggi è un tempo per vivere il mio esodo dalla schiavitù alla liberazione.

Un bisogno di trovare un equilibrio tra il senso del dovere che emerge ogni volta che mi ritrovo schiava del mio ideale di coppia. Lì, cerco l’approvazione e il riconoscimento di mio marito, per quello che creo quando dò ascolto allo slancio del cuore. E’ un riconoscimento che lui non mi sa dare, non si accorge del mio cambiamento e io non ricevendolo mi blocco, mi dico che non serve a niente e mi fermo nel risentimento. Ci sono delle aspettative da parte sua che non sono quelle che danno spazio a quello che mi vive in profondità, e mi disorienta che lui non mi capisca e non senta quanto è importante per me vivere questa dimensione più profonda.

  • Ri-percorrere. Mi sono accorta di quante volte mi sono esposta e in questa esposizione tante cose mi sono tornate indietro come male. Ho bloccato così la mia spontaneità, e ho accettato di vivere all’ombra di quello che gli altri si aspettavano da me, o che io pensavo si aspettassero da me. Infatti, quando non ne ho potuto più di restare in questa ombra, di sentirmi un nulla di fronte a chi sapeva sempre di più di me, ho cominciato a mettermi al primo posto e non annullarmi più restando in secondo piano. Rompendo questo meccanismo sto facendo le mie scelte. È una ribellione sana che mi permette non di vivere all’ombra di chi mi sta accanto, ma di vivere insieme con…Sto tirando fuori il bello di me, divento capace di scelte personali e l’ansia che avevo non mi attanaglia più e le cose si sistemano, trovano il loro posto. È nata una sana distanza che ha permesso uno scambio là dove prima invece era guerra. La diversità non deve diventare motivo per fare diventare l’altro come me, tirarlo dalla mia parte, ma uno spazio per il dialogo e il confronto.

Ci chiediamo quando ci troviamo dentro a questi intoppi: dobbiamo spendere il nostro tempo per convincere l’altro, o dobbiamo custodire e dare vita a quello che ci vive in profondità? E’ questo il modo di porre la domanda? 

Siamo consapevoli che quello che contagia gli altri è la nostra gioia e non la nostra ostinazione a trascinarli dalla nostra parte, per questo dobbiamo smetterla di attendere che cambino. Hanno i loro tempi e su questo non possiamo niente, quello che possiamo è non mollare quello che viene chiesto a noi come chiamata, come conversione, come cambiamento.

  • Esporsi porta sempre una destabilizzazione all’ordine costituito, quindi dobbiamo mettere in conto le conseguenze, e per noi che ci esponiamo il tempo di pazientare, non di mollare. Il papa ha detto che devono finire i tempi di essere credenti inamidati (rivolto a preti e cardinali, ma serve anche a noi) che bevono il te. C’è bisogno di chi si prende la responsabilità di un annuncio anche se in terreni che sono restii a ricevere. Essere scomodi… nessuno di sua volontà lo va a cercare, ma è finito il tempo di mercanteggiare.
  • Importante è rimettere Dio al primo posto e non avere un altro Dio che non sia libertà. La primizia è per il Signore. Questa priorità, questa luce è il criterio che mette ordine in tutto il resto. Per questo non sono chiamata a fare tutto io, ma lasciare quello spazio perché sia Lui ad intervenire. A me spetta la consegna. Un tempo per cercare con rinnovata forza di mettermi al suo seguito e lasciare che sia Lui che opera, anche in quello che vorrei cambiare io ma non posso.
  • Io mi porto dentro in questo tempo la parola: Taci! Gesù sceso a riva ha tacitato un demonio. Oggi ho bisogno di far tacere per aprire gli occhi. Non è un tacere di parole, ma un tacere con la testa. Non a zittire, ma un non dargli tanto importanza. È un far tacere anche quelle immagini che faccio esistere e che non ci sono. Aprimi gli occhi perché sento tanta tenerezza attorno a me, ma ho bisogno che cadano quelle squame dagli occhi, dal cuore per sentirla. Ho bisogno di aprire questi occhi nel profondo di me stessa e incontrandomi con la confusione, non sia preoccupata a mettere ordine, ma di dare vita e creare, generare il nuovo proprio con quello che c’è in me.
  • Ho bisogno di vedere le peculiarità degli altri non come ostacolo, ma come opportunità.

Quando vivono tante cose dentro di noi, chiediamoci qual è la priorità.  Non dobbiamo mettere le mani su tutto e poi lasciare incompiuto quello che abbiamo iniziato. Il tutto ci disperde e ci lascia poi un senso di amarezza e incompiutezza. Chiediamoci qual è l’urlo che più spinge dentro di me? Da quale ferite parte? A chi lo rivolgo? A chi lo affido? Ci sono delle resistenze che incontriamo proprio quando scopriamo qualcosa di noi. Qual è l’angelo che ora si presenta sul mio cammino per fare un pezzo di strada con me per aiutarmi a vivere questo affidamento? Sono queste squame dagli occhi che devono cadere per accorgerci che Dio mai ci fa mancare accanto a noi un angelo, una luce, una parola. A noi sta solo l’umiltà di tendere la mano per riceverla.