INCONTRO 28 GENNAIO 2018: ALL’INZIO DI UN NUOVO ANNO, RI-PARTIAMO DALL’ALTRA PARTE.

All’inizio di un nuovo anno ci auguriamo di lasciare tutto ciò che è ancora ristagno e fissità. Abbandonare quel sicuro non per spavalderia, ma perché chiamate dal futuro. È un poterci dare una nuova possibilità aldilà di ogni fatica e fallimento, non per rincorrere il nuovo per il nuovo, ma per non restare dentro ad una vita scontata. Oggi viviamo in un tempo in cui sembra che la salvezza, la felicità stia nel nuovo. Nuovo oggetto, nuove esperienze, nuove filosofie, nuove sensazioni ecc… Oggi c’è il culto del nuovo. Ma il vero nuovo lo possiamo trovare nello stesso. Il miracolo sta nello trasformare lo stesso in nuovo: rendere lo stesso giorno un nuovo giorno. Lo faremo facendoci aiutare da un miracolo: quello della tempesta sedata che ci chiede di passare all’altra riva, alla riva opposta per avere un altro sguardo su quello che ci succede, sui nostri incontri, sulle nostre tempeste, sulle nostre paure, sulla nostra religiosità, su Dio, sulla nostra fede…

MARCO 4, 35-41 In quello stesso giorno, alla sera, Gesù disse loro: «Passiamo all'altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano delle altre barche con lui. Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva. Egli stava dormendo sul guanciale a poppa. Essi lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che noi moriamo?»  Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia.  Egli disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?»  Ed essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: «Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?»

E’ un ri-partire dall’altra parte, anche se questo ci chiede di attraversare il mare, cioè di accettare quelle trasformazioni che avvengono quando si lasciano le cose certe che sappiamo sulla vita, sulla fede, su Dio. Proprio la paura di fronte ai venti contrari ci interroga sulla nostra fede. Proprio il nostro imbarcare acqua, ci interroga su quella religiosità che ci fa sentire soli e sprofondare, mentre Gesù è con noi che dorme. Forse l’abbiamo addormentato proprio pensando di farcela da sole. Proprio il nostro grido rivolto a Lui ci chiede se lo conosciamo come colui che si annoda con noi per attraversare le nostre tempeste o se ci aspettiamo che agisca con la sua onnipotenza …

Questo miracolo avviene così: c’è una folla che va verso Gesù (aveva appena finito di raccontare la parabola del seminatore) e Gesù li porta verso il mare, verso la libertà (sempre il mare richiama il passaggio del popolo schiavo in Egitto che per arrivare alla libertà deve attraversare il Mar Rosso). Ma ecco il primo inciampo “ma tutta la folla rimase a terra di fronte al mare”. C’era resistenza, la libertà mette paura. Non si fidano e rimangono a terra.

Che cosa fanno fatica ad ascoltare?

Ai tempi di Gesù l’amore di Dio non era universale, l’amore di Dio era per il suo popolo, ma neanche per tutto il popolo, era per i puri, per i meritevoli. L’amore di Dio, secondo la religione, bisognava meritarlo con i propri sforzi. C’era una legge, chi la osservava meritava l’amore di Dio, chi non la osservava o la trasgrediva era fuori dell’amore di Dio.

Ebbene, il segreto dell’amore di Dio, il segreto del regno che Gesù vuol far conoscere è che questa immagini di Dio è falsa! Non c’è un individuo, qualunque sia la sua condotta, qualunque sia il suo comportamento, che possa sentirsi escluso dall’amore di Dio.

Gesù vuole aiutarci a passare dentro a questa tempesta che si scatena sul nostro modo di vedere e vivere Dio, le nostre relazioni tra credenti e non credenti (l’altra riva è quella dei pagani), tra i vicini e lontani, tra… che poi si riversa sul nostro modo di gestire la vita. Passare il mare chiede questa trasformazione, evoca trasformazioni che non abbiamo ancora fatto, per imparare a vivere in un modo differente, per cercare stili di vita che portano trasformazione per tutti. Dobbiamo uscire dal cercare equilibri solo nostri, per salvare il nostro io, il nostro piccolo, la nostra famiglia, il nostro paese…. Gesù non ha bisogno di seguito, ma ha bisogno che ci risvegliamo, e che si risveglino tutti. Un risveglio dove impariamo a dialogare tra noi, mettendoci in rete con le altre barche e insieme passeremo all’altra riva dove ci verrà donato un altro modo di guardare e affrontare la vita.

Quindi lasciamoci provocare dalle domande che emergono dentro di noi, senza cercare subito delle risposte. Provate a rovesciare il punto di domanda… che cosa esce?

amoE’ l’immagine di un amo da pesca. Quindi ascoltiamo le domande come occasioni per scendere dentro di noi, per agganciarci e tirare su all’aria quelle cose che a volte rimangono inespresse. Che cosa cerco? Che cosa sto provando? Che cosa emerge di me? Perché oggi mi dice di passare dall’altra riva? C’è un’altra riva nel mio orizzonte? Ecc…

 

RESOCONTO 28 GENNAIO 2018

LUI CHI È? LO PRESERO COSÌ COM’ERA NELLA LORO BARCA, NELLA LORO VITA.

  • Come nella parabola del seminatore alla prima difficoltà dà fastidio che Lui continui a seminare e qui continui a dormire. Dà fastidio il suo modo di comportarsi.
  • Lo prendono com’era… magari stanco dopo aver incontrato e predicato tutto il giorno a tante persone, e così si mette a dormire. Fin qui, tutto ok, va bene così, ma basta un imprevisto che comincia a disturbarci il suo modo, che ci sembra di indifferenza di fronte a quello che noi stiamo vivendo. Se ti ho preso così dovrebbe andarmi bene e invece…
  • Ecco la poca fiducia che subentra. Lui c’è e dovrebbe bastarci anche se sta dormendo, perché è con noi, e invece noi ecco che ci rivolgiamo a Lui come dovesse risolverci ogni nostra fatica.
  • Non vedi che sono stanca, che non ce la faccio più? Svegliati, dammi una mano. Maestro non t’importa che noi moriamo? Non t’importa la mia fatica, la mia stanchezza? Perché non fai qualcosa per me? Quanta poca fede ho?!?
  • Forse vorrei essere esentata dalle tempeste, dalle lotte, vorrei un cielo sempre sereno, un mare calmo… ma sarebbe troppo facile credere nel miracolo che salva, che mi esonera dal traversare i miei mari.

PERCHÉ DI SERA?

PASSIAMO ALL’ALTRA RIVA---

  • Accogliere una proposta che si presenta e chiede cambiamento, di svoltare: mi chiedo come ho vissuto fino adesso le novità che mi si sono presentate? A volte in maniera positiva perché attendevo questi cambiamenti nella vita. Ma quando si sono presentate come delle grandi batoste come ho reagito? È stato come un entrare nella sera della vita. Finchè c’è un po' di luce procedo, qualcosa ancora mi conduce, ma poi quando arriva alla sera e non vedo più niente.. come posso passare all’altra riva se mi sento, ti senti sola in mezzo alla tempesta?
  • Ma forse proprio quando sei nella sera della vita, nella notte che non vedi più niente puoi sentire e ascoltare quella voce, accogliere quella presenza che dice: passiamo all’altra riva.
  • Non dice passa, ma dice passiamo…
  • Quando siamo nella notte quella voce dice passiamo, e noi proprio perché prese dalla paura che ingigantisce il tutto ci sentiamo sole ed è come che ci avesse detto: devi passare e non passiamo insieme.
  • Questa solitudine, questo sentirci abbandonate mette in moto il vento contrario, e le tempeste incominciano ad invadere la nostra barca, la nostra vita.
  • A volte puoi sentire il bisogno di cambiamento, ma non sai quale sia, qual è il cambiamento che devi fare. Oppure capisci qual è questo cambiamento ma la paura che ti prende non ti fa vedere l’altra riva.
  • Capire e vedere non basta. Conoscere le nostre fragilità e limiti non è sufficiente. A volte riesco anche a dare una mano a chi sta attraversando una tempesta perché dall’esterno la so cogliere proprio perché l’ho passata anch’io, o perché è ancora dentro di me. Ma l’aiuto che so dare agli altri, non è poi così facile chiederlo per me.
  • Forse non vorremmo mai aver bisogno di altri, non vorremmo mai consegnare il nostro grido a qualcun altro, perché vorremmo saperci arrangiare. Ma il grido non va tenuto dentro, va urlato fuori e consegnato a qualcuno. Ormai siamo una società che crede di avere in sè tutte le soluzioni per ogni problema, perché può accedere a qualsiasi informazione. Siamo tutti s-formati (non solo informati) dalle ultime notizie… sappiamo tutto, tanto che non cerchiamo più maestri, amici, compagni di viaggio. Non vogliamo vedere le altre barche che navigano con noi. Non incontriamo più occhi, volti, ma cerchiamo notizie. Così sappiamo dare un nome alle nostre e altrui malattie, limiti, fragilità. Delle nostre paure cerchiamo l’origine, la causa pensando così di dominarle, ma la conoscenza non ci basta. A chi le affidiamo? Passiamo….

ED ECCO LEVARSI LA TEMPESTA

  • Le emozioni, i sentimenti, la rabbia prendono il sopravvento rispetto allo stare con Gesù. Sono queste cose che emergono da dentro che mi incatenano a me stessa e resto in balia di esse, senza essere capace di uscirne, mi dominano. Ok, vorrei lasciarle, ma non ci riesco e resto con questa nostalgia di vivere un abbandono. Ma come vivere l’abbandono? Non so come fare! Canto, leggo un salmo, mi ripeto una frase…o devo fare qualcosa d’altro?
  • Forse le tempeste sono necessarie per dare un nome alle mie fragilità, per accorgermi dei miei limiti. Se non ci fossero non prenderei coscienza di quello che sono, perché sembrerebbe che tutto funzioni lo stesso. La tempesta mi fa dire: ho esagerato! Il passaggio successivo è quello di dire: Ok, ma Lui c’è e mi ama così come sono.
  • Ma non è forse che ci stiamo accomodando troppo quando ci diamo questa attenuante di un Dio che ci ama così come siamo? Lui ci chiede di fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi, ci chiede di … amare gli altri come amiamo noi stesse. Onestamente, se ora giungesse la morte, io chiederei a Dio ancora un po' di tempo perché non ho ancora fatto niente di quello che Lui chiede che io faccia per gli altri.
  • Qui nasce la domanda: avere fede è un dover essere o una consegna continua di quello che sono perché Lui ne faccia una buona notizia per gli altri?

RELIGIOSITA’/PAURA/ FEDE

  • Fede non è misurare quello che noi facciamo per Dio, ma quello che Lui fa per noi. Fede è fidarsi di chi si è già fidato di me. Mi ha dato già un talento e lo ha affidato alle mie fragili mani, cuore ecc.. come un dono d’amore, da farlo fruttificare perché è quel dono consegnato che fiorisce se io non lo sotterro per paura. Devo solo non avere paura di chi me l’ha affidato. Una paura, un timore dettato anche da non sentirmi mai all’altezza della consegna fatta: non ho ancora fatto sufficiente di quello che mi ha detto, non ho ancora fatto sufficiente per Lui… Se lo vivo come uno sforzo da fare senza entrare in una relazione grata con il donatore, prima o poi sotterro me stessa.
  • La fede si manifesta in un bisogno che chiede aiuto ma poi si fida e poi si affida. Non per diventare migliore ma per agganciarsi a Lui. Sarà questo restare agganciati che ci farà migliori.
  • Fede non è trovare una sistemazione religiosa, è lasciare le nostre immagini che abbiamo di Lui. È un lasciarci svegliare mentre pensiamo di essere noi che dobbiamo scuotere dal sonno colui che sta dormendo. Ma Lui che dorme ci indica un altro modo (l’altra riva) di attraversare le nostre paure, le nostre tempeste: non dobbiamo colpevolizzarci perché le proviamo, ma forse non riempiranno la nostra barca se lasciamo che il suo respiro si intrecci e dia il ritmo anche al mio.

PASSIAMO ALL’ALTRA RIVA = AVERE UN’ALTRA VISIONE DALL’ESSERE A POSTO.

  • Non si passa all’altra riva se guardando Lui che dorme nella nostra barca ci dà fastidio, se pretendiamo che Lui faccia quello che noi riteniamo bene per salvarci. La salvezza qui è attraversare con Lui quello che capita, non chiedergli di toglierci dai guai. Non ci salva dalla tempesta ma nella tempesta.
  • Gesù chiede e impone. Chiede …chiede perché siete così paurosi, chiede per farmi prendere coscienza di che cosa stò vivendo. Passiamo all’altra riva, anche insieme ad altre barche per rispondere e far emergere un bisogno di aiuto che non si risolve da soli.
  • Passare all’altra riva è un uscire dal quell’individualismo che la nostra società ci sta rinchiudendo, ma che anche noi ci stiamo arrendendo.
  • L’altra riva è dar vita, generare spazi dove chi viene posa depositare le proprie fragilità senza sentire un giudizio.
  • L’altra riva è avere un altro sguardo su me stessa, senza lasciare che la mia immagine di perfezione mi derubi il meglio che ho vissuto.
  • L’altra riva è non sprofondare in infinite tristezze che ingigantiscono le paure e ci rubano la speranza.
  • L’altra riva è che il desiderio di essere in comunione con gli altri, di vivere una fraternità non si lasci prendere dalla paura di ciò che ogni relazione autentica comporta.
  • L’altra riva è non restare troppo concentrati su noi stessi e su quanto potevamo aspettarci dagli altri, ma restando agganciati a Dio ascoltare la sua fiducia nei nostri riguardi.